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Da anni ormai i concetti di “legalità” e “giustizia” vengono associati fino a diventare un tutt’uno: è giusto solo ciò che è legale, e viceversa. Le istituzioni continuano a sovrapporre il significato dei due termini giustificando così sgomberi, ordinanze e rastrellamenti. Lo sgombero di LUMe – come quello di Làbas a Bologna – dovrebbe invece indurci a riflettere. Siamo sicuri che vi sia sempre giustizia dietro un atto di repressione nel nome della legalità?
 
Ma andiamo con ordine, e spieghiamo cos’è stato – o meglio – cos’è LUMe.
 
LUMe (Laboratorio Universitario Metropolitano), è un centro sociale occupato l’8 aprile 2015 nel Vicolo Santa Caterina, a due passi dall’Università Statale di Milano. Il piccolo edifico di tre piani con annessa cripta sconsacrata era in stato di completo abbandono ormai da anni. L’insegna all’ingresso recita “Osteria La Pergola”.
 
Al solo sentire l’espressione “centro sociale”, comunemente si storce il naso, soprattutto se si è muniti di preconcetti o per semplice disinformazione. Però nel caso di LUMe, a maggior ragione, ha ancora meno senso il sospetto diffuso presso la gran parte dell’opinione pubblica, perché non è un centro sociale come gli altri. Innanzitutto ne fanno parte unicamente ragazzi: giovani studenti e lavoratori precari. Da subito è stato avviato un grosso lavoro di ristrutturazione e messa in sicurezza dell’edificio. Erano ormai svariati anni che l’immobile versava in una situazione di totale abbandono, e il proprietario vi era completamente disinteressato.
 
L’operato di LUMe si è impregnato completamente della vita sociale del quartiere, tant’è che gli stessi abitanti della zona hanno appoggiato il progetto, e con loro c’è sempre stato un costante dialogo per una pacifica convivenza.
 
Col passare delle settimane prese vita il corpo operativo del progetto, con la creazione di collettivi e i quotidiani lavori nella struttura. Le varie anime che hanno composto LUMe sono il tavolo politico, Lumeteca– percorsi cinefili, Altrementiblog, Lume Teatro, il tavolo HipHop, e il tavolo di design; ma il piatto forte era Lume Jazz. Quest’ultimo, un appuntamento settimanale imperdibile per tutti gli appassionati di jazz, senza esagerazione, era forse il fulcro stesso del gruppo. Ogni mercoledì sera, giù nella cripta, si esibiva una band diversa e si registrava il tutto esaurito. La voce corse sempre più veloce, e col passare dei mesi LUMe – a Milano – è diventato senza dubbio uno dei più importanti centri socio-culturali: probabilmente il primo a livello universitario. Centinaia di ragazzi accorrevano per le mostre, le rappresentazioni teatrali, le proiezioni cinematografiche o per le decine di concerti programmati durante l’anno, sempre in questo luogo a dir poco suggestivo.
 
Il lavoro svolto dai collettivi all’interno dello spazio è stato enorme, ed ha portato i suoi frutti: tant’è che alle serate di jazz hanno partecipato insegnanti della civica, a quelle di teatro hanno preso parte insegnanti e direttori di prestigiose scuole e teatri. LUMe ha ospitato artisti italiani, australiani e giapponesi senza mai pretendere un pagamento dagli ascoltatori: offerta libera al solo fine di pagare le spese di viaggio degli artisti, l’attrezzatura e, se fosse avanzato qualcosa, il rifacimento della struttura.
Martedì 25 luglio, la Digos e le forze dell’ordine hanno sgomberato LUMe. Il tutto è successo all’alba, in piena estate, e senza alcun preavviso. Un trattamento pari a quello riservabile a dei criminali, senza osservare le ragioni che stanno alla base del Laboratorio, senza vedere tutto il lavoro che è stato fatto effettivamente sul territorio per arricchire la nostra città. È forse troppo facile nascondersi dietro a giustificazioni giustizialiste per legittimare questi atti di forza contro luoghi di cultura e socialità.
 
LUMe è stato uno spazio che per piú di due anni – a livello universitario – ha riempito un vuoto artistico e culturale. LUMe ha dato la possibilità a giovani musicisti, attori e registi di esprimere la propria arte.
 
Chi vorrà sostenere LUMe e il suo operato potrà venire sabato 23 settembre a Milano all’“Assedio culturale” di Palazzo Marino, per chiedere all’amministrazione che questa parte di cittadinanza venga ascoltata.
 
Non permettiamo che questo valore aggiunto alla nostra città venga spento.
Marianna Campanardi
Redazione GD

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