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di Federico Caldara

Il calcio è in Italia, come in buona parte del mondo, lo sport più popolare e con maggiore seguito, tanto da rappresentare un vero e proprio fenomeno di massa. Di calcio si parla spesso nei social, nei giornali e in tv e se n’è parlato ancora di più la scorsa settimana, purtroppo però non per questioni sportive: ancora una volta, ci troviamo ad affrontare la questione del razzismo negli stadi.
A riaccendere il dibattito è stata la partita Verona-Brescia: dopo una sequenza di ululati e “buu” indirizzati verso Mario Balotelli dalla curva dell’Hellas, al 54’ l’attaccante bresciano scaglia il pallone con forza verso la tifoseria gialloblù. Non si tratta di un episodio isolato: nella stessa giornata anche Napoli-Roma è stata sospesa dall’arbitro Rocchi per cori razzisti da parte della curva romanista verso il difensore del Napoli Koulibaly, episodi che si aggiungono a quanto successo nelle scorse giornate e negli ultimi anni negli stadi nostrani. Com’è possibile che accada tutto questo? Dobbiamo considerare il calcio italiano come un ambiente razzista?
Il calcio italiano non ha nulla a che fare con il razzismo: lo stesso Balotelli ha orgogliosamente vestito la maglia della nazionale diventando un esempio per i nuovi e per i futuri italiani di origine straniera e su vari livelli il calcio rappresenta un modello avviato e avanzato di integrazione.
 

Sono gli ultras, i capi indiscussi delle curve negli stadi, che non c’entrano nulla con il calcio. Il mondo degli ultras è legato alla criminalità. Tra le loro file si contano pregiudicati e si vedono continui arresti per spaccio e detenzione di droga. Non bastasse questo, aggiungiamoci le infiltrazioni neofasciste: oltre agli imbarazzanti adesivi antisemiti dello scorso anno contro Anna Frank degli ultras della Lazio, si è scoperto che il capo ultrà della curva del Verona è un importante esponente di Forza Nuova e che alla feste di questa “tifoseria” si inneggia tranquillamente a Hitler, per cui non risulta strano che, secondo il soggetto in questione,

“alotelli non è del tutto italiano e poi un ne*ro in squadra ce l’abbiamo pure noi….
Ovviamente sono citati gli episodi più in vista riferiti ad alcune squadre, ma il marcio di questo ambiente non ha colori e, anzi, ben poche società possono dichiararsi estranee.
Ora quello che risulta incomprensibile è come le società, la Lega Serie A e la FIGC permettano che questi soggetti possano non solo entrare negli stadi, ma comandarli monopolizzandone le curve e le tifoserie. Lo stadio non è e non può essere un luogo per violenti e criminali, ma il luogo dove le famiglie e le persone comuni che vogliano tifare per i propri beniamini lo possano fare in tranquillità, sportivamente senza assistere ad episodi di razzismo e violenza tra tifoserie, senza che un criminale e/o neofascista urli al megafono “ne*ro di merda”.
Tifare è passione, non odio. Ridiamo il calcio in mano a chi lo ama davvero, togliamo gli ultras dalle curve.

 

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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