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di Nicolò Radice e Samuele Franciolini

La protesta dei francesi: uno spunto su cui riflettere

Fra tutti gli stati europei, a partire dal XVIII secolo, è la Francia quello dove il conflitto sociale si è quasi sempre manifestato nella sua forma più accesa; basti pensare che la maggior parte delle rivoluzioni e dei movimenti di protesta che hanno caratterizzato la più recente storia occidentale hanno fin da subito  preso piede oltralpe, diffondendosi solo in seguito nel resto del continente. Per tale ragione, a nostro parere, è importante per una sinistra moderna osservare con attenzione quello che avviene a Parigi e saperne cogliere i punti fondamentali. Questo non per replicare le soluzioni transalpine in una diversa situazione, bensì per dare vita e stimolare un dibattito sul futuro della nostra parte politica, sulle lotte che dobbiamo portare avanti e sul tipo di società che vogliamo costruire. 

La scena politica francese in questi ultimi mesi è stata prepotentemente occupata dalla riforma del sistema previdenziale voluta dal Presidente Macron: l’innalzamento dell’età pensionabile necessario, secondo l’Eliseo, alla sostenibilità dei conti dello stato ha infatti scatenato un movimento popolare di proteste, come non si vedevano, se anche in modo totalmente diverso, dal tempo dei gilet jaunes. Tuttavia, alle manifestazioni indette dai principali sindacati francesi, anche in seguito all’utilizzo dell’articolo 49.3 della costituzione della Quinta Repubblica – il quale permette di approvare qualsiasi legge senza il voto del parlamento – si sono uniti la sinistra parlamentare della NUPES, il mondo dell’attivismo ecologista e femminista e molti giovani provenienti dalle scuole superiori e dalle università, occupate per la prima volta dal 2006. 

L’obiettivo di questo articolo non sarà quello di discutere nel merito della riforma, ma quello di cercare di comprendere i motivi che hanno portato i francesi a scendere in piazza in modo così risoluto e saldare in un’unica battaglia generazioni e lotte, prima apparentemente in contrasto fra di loro. 

La riforma e le manifestazioni

La nuova riforma introdotta dal Presidente della Repubblica e dalla sua Prima Ministra, Elisabeth Borne, prevede nel corso di tre anni l’innalzamento dell’età pensionabile dai 62 anni odierni ai 64 e l’aumento della soglia dei contributi minimi necessari per il pensionamento a 43 anni di occupazione – questa la parte più contestata del testo. Insieme a questi provvedimenti, che impattan

o la totalità dei lavoratori francesi, è anche prevista una rimodulazione dei regimi pensionistici speciali e un innalzamento della pensione minima all’85% dello SMIC – il salario minimo francese

La ferma opposizione delle sinistre e del Rassemblement National sulla riforma ha tuttavia spinto la prima ministra, che guida un governo di minoranza, a evitare il passaggio della legge all’Assemblée Nationale, dove sapeva di non avere la maggioranza necessaria, e a ricorrere all’utilizzo dell’articolo 49.3. Questo strumento, introdotto dalla costituzione gollista, permette di approvare una legge senza il voto parlamentare, garantendo allo stesso tempo alle altre forze politiche la possibilità di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del governo entro le 24 ore successive. In questo caso, la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni non è passata a causa del voto di una parte dei Repubblicani, in forte difficoltà nei sondaggi, che temevano la minaccia di Macron di scioglimento anticipato dell’Assemblée Nationale in caso di approvazione della mozione.

È stato l’utilizzo di questo articolo, perfettamente legittimo nell’ordinamento francese e utilizzato largamente anche da primi ministri di sinistra come Rocard, sotto la presidenza Mitterrand, che ha fatto scendere in piazza moltissimi giovani. Questi ragazzi e ragazze, che prima non erano vicini al movimento sindacale, o addirittura non avevano mai preso parte a una manifestazione politica, si sono sentiti sfuggire di mano, per l’ennesima volta, il controllo sul proprio futuro e hanno deciso di esprimere il proprio dissenso scendendo in piazza. Sarebbe tuttavia riduttivo dire che sia solo questa la ragione delle loro proteste: la riforma delle pensioni è stata infatti percepita come la goccia che ha fatto traboccare il vaso da parte di un Presidente che, eletto come argine alla destra reazionaria lepenista, si è spesso comportato in modo altrettanto autoritario e repressivo. Basti pensare ad un gravissimo episodio avvenuto, sempre in questi giorni, in occasione di una manifestazione ecologista contro la costruzione a Sainte Soline – Deux Sèvres –  di un mega bacino per la ritenzione di acqua destinata all’irrigazione. I partecipanti alla protesta – non autorizzata – sono stati violentemente aggrediti dalle forze di polizia, a causa delle quali due ragazzi sono andati in coma. La stessa prefettura si è resa inoltre responsabile, secondo un documento rinvenuto dal quotidiano Le Monde, di aver ostacolato l’arrivo dei soccorsi nell’area.

La lotta come abbiamo visto non si è limitata alla contestazione dei provvedimenti del governo Borne, ma si è estesa ben oltre. La lotta per il mantenimento dell’attuale regime pensionistico e contro l’eccessivo decisionismo presidenziale viene infatti vista dalle nuove generazioni come un’occasione per esprimere la propria rabbia, una rabbia popolare, e per rivendicare un modello sociale alternativo a quello neoliberisti: i giovani, infatti, sono stanchi di vivere in una condizione di precarietà, con un futuro sempre più incerto e su cui la riforma delle pensioni non getta certo una luce rosea. La sostenibilità della spesa pensionistica, tema su cui spesso viene alimentato un conflitto fra generazioni, rappresenta quindi una pietra angolare dello schema di pensiero esistente; spesso è su di essa, infatti, che si sono fatte le maggiori opere di revisione dei conti degli ultimi decenni. 

Il caso italiano

Un caso lampante a noi molto vicino è quello della riforma Fornero, approvata in momento tragico per il nostro paese dalla quasi totalità delle forze parlamentari, di cui, qui, non si contesta la necessità, bensì il fatto che quasi nessuno dei partiti presenti in parlamento si sia mai speso seriamente per la modifica di una riforma che, a detta delle stessa professoressa, era un provvedimento dettato dal carattere straordinario dell’emergenza in cui ci trovavamo. I tentativi fatti in tal senso, come da tradizione italica, sono stati portati avanti da partiti populisti come la Lega di Salvini – Quota 100 – che ne hanno fatto la propria bandiera elettorale e si sono poi rivelati sostanzialmente inefficaci; tanto che sono stati sospesi da un governo in cui partecipa il partito che più si batté per la loro introduzione. 

Nonostante ciò, in Italia non si osserva un fermento sociale neanche minimamente paragonabile a quello che sta attraversando il paese transalpino. Questo, a nostro parere, non è spiegabile solo con la minore predisposizione storica del popolo italiano alla protesta, o con ragioni demografiche legate all’età media della popolazione, ma origina, come è stato ripetuto molte altre volte, dal fallimento delle forze di sinistra, che troppe volte hanno ceduto il campo sulla questione della sostenibilità del sistema pensionistico appellandosi all’impossibilità di trovare vie alternative alla soluzione di tale problema.

Ciò ha causato, specialmente negli anni dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – o in quelli del governo di unità nazionale – una profonda frattura con il mondo sindacale, da cui non sono stati più considerati interlocutori sufficientemente credibili e coerenti.

Allo stesso modo questi stessi partiti, tranne in alcuni casi isolati – legge unioni civili, DDL Zan – si sono dimostrati incapaci, anche a causa di una dirigenza fossilizzata su scontri meramente di posizione, di intercettare il malcontento dei giovani che pure viene espresso quasi quotidianamente con manifestazioni sempre più partecipate.

Mélenchon, i sindacati e i giovani francesi 

Mentre in Francia i partiti di sinistra hanno condotto un’opposizione capace di fare da ponte tra i giovani e il mondo dei sindacati, in Italia non solo non c’è stato questo tipo di incontro, ma manca anche un effettivo protagonismo da parte delle forze politiche su questo tipo di  argomento. La France insoumise, movimento di sinistra fondato da Jean – Luc Mélenchon  e molto popolare tra gli under 35, si è subito dichiarata contraria al disegno di legge, sostenendo che la situazione finanziaria dello stato non sia tale da necessitare un innalzamento dell’età pensionabile e che, prima di tutto, bisognasse indire un referendum apposito. Come detto prima, però, le forze di sinistra non si sono limitate a cogliere il malcontento della popolazione, organizzando, in vista di un voto che non c’è stato, una strenua opposizione parlamentare, ma si sono coordinate anche con i sindacati: nei picchetti, negli scioperi e nelle manifestazioni.

Pensare che la scelta di Mélenchon sia dovuta a un semplice tornaconto elettorale sarebbe sbagliato. È, banalmente, quello che le sinistre avrebbero sempre dovuto fare, in Francia e in tutto il resto del mondo: cogliere il grido di una classe sociale e di una generazione che, dopo una crisi economica senza precedenti, necessitano di sostegni; sostegni che poco probabilmente verranno da una riforma di questo tipo. Che l’argomento sia da affrontare e che una revisione del sistema pensionistico debba essere attuata non è il punto: questo tipo di decisioni devono essere prese in parlamento, massima espressione della volontà popolare. Soprassedere il voto dell’Assemblée Nationale ed evitare un reale confronto con le parti sociali non può che essere la scelta sbagliata; allo stesso modo, appellarsi alla poca governabilità del parlamento è una tattica dagli scarsi risultati. 

Per la prima volta, i giovani e il lavoro sono due temi convergenti, strettamente legati tra loro: alzare la soglia dell’età pensionabile dai 62 ai 64 anni riguarda tutti, ma soprattutto quelle generazioni che di modifiche poi se ne aspetta ancora. Ecco, allora, che una sintonia tra sindacati e chi ha meno di quarant’anni si può instaurare e il compito è affidato a chi le capacità per farlo non mancano: i partiti, quelle forze che in politica ci stanno sempre, il cui compito è lavorare per le istanze dei cittadini. 

Quest’ultimi chiedono di essere ascoltati e inclusi in decisioni che, ormai, sembrano sempre più “di palazzo” e, se trovare un senso nell’impegno presente comporta la rinuncia a un futuro stabile, sono disposti ad accettarlo. I millennials e la generazione z non intendono più accettare un lavoro totalizzante che, fine a se stesso, rispecchia un modello socio – economico insoddisfacente; un sistema in cui, proprio sul lavoro, si fa concorrenza al ribasso, con stipendi precari e da cui non si vede l’ora di andarsene. Lo dimostrano le decine di migliaia di giovani francesi che, da settimane, protestano col pugno alzato, assieme ai loro genitori e ai loro nonni. “Non voglio lavorare di più, voglio del tempo per vivere”, “Non c’è solo il lavoro nella vita, la pensione a sessant’anni è già troppo tardi”: sono questi i cartelli che si leggono in piazza e ignorarli comincia a farsi difficile. 

Le nuove generazioni chiedono un’alternativa a un mondo dove l’unica possibilità di scelta sia quella di vivere per lavorare: il fatto che siano loro a domandarlo mostra la progressiva affermazione di un modo di pensare differente, di una diversa concezione della vita e del mondo, certo non propria dei nostri genitori, che non può più collimare con quella di oggi. In particolare si rivendica un superamento di quella cultura del lavoro, o meglio dire dello sfruttamento, che impone orari massacranti, salari da fame e mette i lavoratori l’uno contro l’altro, adesso senza neanche più la garanzia di una pensione equa. Questa richiesta d’aiuto non può e non deve essere lasciata cadere nel vuoto dalle forze della sinistra, farlo significherebbe venire meno ancora una volta alla loro vocazione storica.

La situazione italiana

E in Italia? Nel nostro paese, attualmente, la situazione è molto diversa: fino a poco tempo fa, il protagonismo dei giovani francesi non sembrava aver attecchito, ma l’esperienza di GKN pare dire il contrario. Alla massiccia manifestazione delle tute blu, licenziate di punto in bianco dal colosso inglese, hanno manifestato migliaia di giovani, con la profonda convinzione che manifestare per i lavoratori di oggi significhi difendere la possibilità, in futuro, di lavorare con diritti e tutele. Il fatto che dei giovanissimi abbiano deciso di appoggiare i sindacati in questa lotta per il lavoro rappresenta una grande svolta: in Italia, la questione generazionale e quella lavorativa sono andate nuovamente di pari passo, dimostrando come l’una non possa più fare a meno dell’altra.

 A questo punto, c’è da sperare che l’esperienza della manifestazione a Firenze sia lo spunto necessario per cominciare quanto fatto in Francia, unendo queste due battaglie e manifestando anche noi per un sistema socio – economico diverso.

Quello che, però, sarebbe davvero auspicabile è una collaborazione che non si limiti al territorio nazionale ma che si estenda anche a livello europeo. Paesi come Francia, Italia e Germania sono i principali economici pilastri dell’UE: una battaglia sindacale e generazionale congiunta rappresenterebbe una svolta epocale, destinata a influenzare notevolmente la situazione dei prossimi anni. La Commissione europea aveva fornito varie raccomandazioni in merito al semestre europeo del 2019, invitando gli stati membri a riformare i propri sistemi pensionistici nei loro piani di risanamento e resilienza: i vari paesi, tuttavia, sembrano in difficoltà sia nell’attuazione di tali riforme sia nella tutela delle fasce economicamente più deboli. Al momento, una strategia europea per la costruzione di un sistema pensionistico equo e sostenibile non c’è: spetterà alle istituzioni comunitarie – così come ai governi nazionali – decidere se e che strada prendere in tal senso.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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