fbpx

di Ilaria Piromalli

Credo di aver capito una cosa però, che a lui doveva essere molto chiara. Decenni di dittatura, di violenze e di soprusi, e anni di guerra, di torture e di stermini, avevano messo in moto una macchina di odio e di vendetta, disponibile al sacrificio, determinata. Una cosa oscura, senza pregio, una cosa facile da mettere alla berlina e da disprezzare. E come era inevitabile, in alcuni casi quella macchina aveva finito per andare con il pilota automatico, come un camion in corsa non si sarebbe fermata in pochi metri, men che meno fingendo che non fosse accaduto nulla.
Una cosa oscura, senza pregio (Andrea Olivieri)
 
Si chiama Patrick, ha 27 anni e da quando ho visto la notizia del suo arresto non smetto di pensare agli occhi di Giulio.
Non è semplice scrivere queste righe: nella testa la parte razionale cerca di ricostruire l’Egitto di oggi pensando all’Egitto di ieri, pensa alle Primavere arabe, a Mohamed Bouzazi, a “siamo tutti Bouzazi” e ai regimi che crollano, all’innesco di quel motore controverso che voleva più libertà e invece ne ha tolta.
 
Sono passate due settimane dall’anniversario della scomparsa di Giulio e proprio in questi giorni il suo corpo veniva ritrovato sul ciglio di una strada. I segni delle violenze evidenti, le risposte da parte delle autorità egiziane latenti, la diplomazia italiana fallimentare. Penso al valore che avrebbe avuto la pretesa di una risposta di fronte all’impotenza di chi si vede ogni giorno privato, un granello per volta, di quella libertà sacra che a suon di “è un mio diritto” per me è così semplice osannare. Per me, che spesso me ne lamento, ma non per altri. E penso ai miei 25 anni, quelli che mi hanno consentito di studiare dove volevo e di tornare sana e salva a casa, quelli che non conoscono fondamentalmente la parola abuso, perché il maggior “torto” subito da un ordine costituito è una multa, quelli che mi consentono di dire ciò che voglio, che sia più o meno dissacrante, di rivendicare il politicamente corretto per non osservarlo un secondo dopo, di dire cosa mi fa cagare e scendere in piazza a difenderlo se necessario. Penso al desiderio di leggerezza, ritrovato in una frase di Italo Calvino o in un fumetto di Zerocalcare, e al fatto che di quale leggerezza parlo di fronte a un ragazzo di 27 anni che diventa per il governo egiziano un pericoloso criminale che istiga “al rovesciamento del governo e della Costituzione”?
 
E ripenso a Giulio.
 
Nell’impotenza di pensare cosa avremmo e cosa possiamo fare, con l’occhio rivolto a quei lunghi striscioni gialli che cadono dalle balconate di innumerevoli comuni – almeno dove chi ha ancora avuto la decenza di non togliere il segno di una richiesta disperata, dove chi ha avuto la decenza di non dimenticare un figlio di questo Paese – l’unica risposta che continuo a trovare è anche l’unica richiesta che sentiamo risuonare da 4 anni: la verità. La capacità di spiegare i fatti, cosa è successo. E ancora oggi la capacità di spiegare delle accuse, senza la necessità di ricorrere a della violenza gratuita nei confronti di chi nulla ha di diverso che il nostro bisogno di esprimere un’idea.
 
Quando in un inverno a cavallo tra il 2010 e il 2011, in Tunisia, un venditore ambulante di nome Mohamed Bouzazi, in un atto di protesta contro l’abuso di potere della polizia locale si da fuoco, si scatena un’escalation di proteste che varca i confini nazionali e fa implodere i Governi di Egitto, Yemen, Libia e Tunisia, scuotendone molti altri e dimostrando come quello di Mohamed Bouzazi non fosse un evento isolato, tutti erano Bouzazi, e così recitava quel coro comune che ha accompagnato passo per passo, grido per grido, le Primavere arabe.
 
Il fatto è che se da un lato le Primavere arabe hanno innescato un effetto domino che ha portato al rovesciamento di alcuni regimi, dall’altro non hanno creato più democrazia, non hanno creato più libertà.
E qual è il senso degli avvenimenti se non siamo capaci di avere la pretesa di capirne il significato?
 
Ci sono spiegazioni che è difficile darsi e che è difficile dare. Poi ci sono spiegazioni che non si vogliono dare: io non credo che la tortura o la morte di un ragazzo siano delle spiegazioni difficili. Non l’ho mai creduto. E allo stesso tempo credo che sia la pretesa della verità la migliore arma contro gli atti più violenti.
 
Si chiama Patrick, ha 27 anni e da quando la notizia del suo arresto è stata diffusa non smetto di pensare agli occhi di Giulio e a come la forza di cercare la verità possa sconfiggere gli abusi perpetuati e finalmente salvaguardare quella libertà che nessuno ha il diritto di privare. Giorno dopo giorno vengono portati avanti da quei regimi la cui forza sta nel silenzio in cui riescono a far perpetuare alcuni atti.
Patrick era venuto in Italia a studiare, con l’idea di tornare poi in Egitto e lavorare per migliorare il suo Paese. Al suo rientro tuttavia ciò che lo ha atteso è un ordine d’arresto che lo accusa di essere un pericoloso criminale che incita al rovesciamento del governo. Lo ha atteso un interrogatorio, la tortura, l’elettroshock.
 
Non lo ha atteso la libertà. Ed è questo il senso della ricerca della verità. Per Giulio, per Patrick.

 

Redazione GD

Redazione GD

La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.