di Matteo Bellia
8 agosto 1956. Prende fuoco la miniera di carbone di Bois du Cazier in Belgio. Morirono 262 lavoratori di cui 136 italiani. Era lo stesso anno in cui Berlusconi conosceva Dell’Utri, Mattarella era nella piena adolescenza e più di un italiano su cinque era già nato. Eppure, il disastro di Marcinelle ci sembra una storia lontanissima.
E se non è il tempo a separarci da questa tragedia, non sono neanche i fatti a cui questo terribile incidente ci riporta: ad oggi il problema della sicurezza sul lavoro è un tema caldissimo. Dall’inizio dell’anno fino a maggio 2023 sono già stati registrati 358 incidenti mortali sul luogo di lavoro a cui vanno aggiunte le 240 mila denunce di infortunio e più di 30 mila denunce di malattia professionale (fonte: INAIL).
Come a Marcinelle ad essere più colpiti sono i migranti. Infatti, se è vero che i dati sugli incidenti sono in calo rispetto allo stesso periodo negli anni scorsi e i casi di infortunio sul lavoro per i cittadini comunitari sono in calo del 20% circa, questa riduzione non è osservabile per i lavoratori extracomunitari. Analogamente l’aumento di malattie professionali è a due velocità: cresce il doppio per i lavoratori extra-UE.
La matrice comune di tutti questi incidenti è il profitto. Nel 1946, quando iniziò veramente il disastro di Marcinelle, il governo italiano e quello belga firmarono un accordo: minatori in cambio di carbone. Di fatto si vendevano decine di migliaia di persone che andavano a lavorare in condizioni pietose nelle miniere per due tonnellate e mezzo di carbone per ogni minatore fornito. Vita per profitto, nulla più, nulla meno. Allo stesso modo quando si disattivano i controlli dei macchinari o si trascurano le procedure di sicurezza si fa la stessa cosa: si baratta la salute dell’operaio per il profitto.
Di Marcinelle si parla poco anche perché l’emigrazione italiana è una pagina di storia che vogliamo dimenticare. Quando si parla di migranti lo si fa spesso in modo dispregiativo. Eppure, i nostri antenati sono partiti, hanno raggiunto tutto il mondo, hanno sofferto, ma hanno anche fatto sì che le nostre vite siano più facili adesso, che la nostra cultura sia conosciuta in tutto il mondo, che si siano venute a formare delle vere e proprie catene migratorie con posti lontani, anche adesso a distanza di anni. Marcinelle ci fa così riflettere su quanto è importante essere riconoscenti ai migranti del secolo scorso. Ma l’Italia riconosce fortemente il suo passato emigrante solo per alcuni aspetti. Sono italiani i figli di italiani. Lo ius sanguinis è proprio la pura espressione del nostro passato: riconoscere parte dell’Italia anche in chi lascia casa, crea una comunità e aiuta i connazionali rimasti in patria. Paesi diversi, come gli Stati Uniti, che hanno una tradizione di immigrazione centenaria, utilizzano un sistema di attribuzione della cittadinanza basato sul luogo di nascita: lo ius soli; chi partecipa alla crescita del paese è un suo cittadino. Ma se noi riconosciamo il sacrificio e il valore dato dai nostri migranti non solo al nostro paese ma anche al contributo alla crescita dei paesi di destinazione, forse è ora di riconoscere l’apporto in termini di lavoro e della cultura di chi arriva in Italia.
Marcinelle risponde anche ad una domanda che si sente fare moltissimo di questi tempi, non ultimo dopo la strage di Cutro: “perché se rischiano di morire i migranti non se ne stanno a casa loro?”. E risponde anche ai decreti vergognosi che rendendo meno sicuro l’accesso all’Europa mirano a rompere la catena migratoria. Chi vive in una condizione precaria è disposto a rischiare anche la sua vita pur di migliorare la propria condizione, qualunque sia la sua nazionalità. Non è una caratteristica peculiare dei somali o dei siriani voler rischiare la vita per vivere in condizioni misere a migliaia di chilometri da casa: lo facevamo anche noi italiani, neanche un secolo fa. E senza guardare così lontano, lo facciamo ancora, accettando di non indossare le imbracature in cantiere rischiando di morire per mantenere il posto di lavoro e portare il piatto a tavola.