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di Umberto Caragnano
Nel pomeriggio di ieri la Commissione Europea ha presentato al Parlamento Europeo la proposta del fondo per la ricostruzione europea, il cosiddetto Recovery Fund, che dovrà ora essere oggetto di negoziati da parte degli Stati membri.
Il Recovery fund, rinominato Next generation EU, ammonterà a 750 miliardi, di cui 500 miliardi in sovvenzioni e 250 in prestiti. La proposta dunque è in linea con le linee guida annunciate martedì scorso dai Presidenti della Germania e della Francia. Le linee di credito saranno ottenute tramite emissioni sul mercato da parte della Commissione Europea, da rimborsare ai detentori dei titoli di debito fino ad un massimo di 37 anni e che potrebbero essere nei prossimi anni, a detta di alcuni commentatori, essere riacquistati in parte dalla Banca Centrale Europea. Non sono ancora definite invece le modalità di rimborso da parte degli Stati membri. Tali fondi saranno vincolati per le spese e gli investimenti secondo una visione del futuro articolata in tre pilastri fondamentali “Green, Digital, Resilience”. Secondo le notizie riportate dalle principali testate giornalistiche, l’Italia sarà il maggiore beneficiario in termini assoluti e il secondo beneficiario netto con un ammontare complessivo di fondi spettanti superiore ai 170 miliardi di euro, di cui circa 80 miliardi di euro in sovvenzioni e 90 miliardi sotto forma di prestiti a tasso agevolato.
Per facilitare l’emissione di denaro e garantire il pagamento degli interessi, il Recovery fund, come già preannunciato nelle precedenti negoziazioni, sarà collegato al Quadro Finanziario Pluriennale, ossia il bilancio infrannuale dell’UE 2021-2027. La Commissione ha infatti proposto un aumento temporaneo della contribuzione dei Paesi membri al bilancio UE pari al 2% del Reddito Nazionale Lordo e l’introduzione di nuove tasse europee come Carbon e Digital Tax, che permetteranno all’Unione Europea di avere a disposizione ulteriori 1100 miliardi nei prossimi sette anni. Questa modifica, fondamentale per l’architettura del piano europeo, dovrà essere ratificata dai Parlamenti dei Paesi membri. Per fare un esempio, si passerà per l’Italia da un versamento medio annuo di contributi (escluse risorse proprie tradizionali e risorse IVA) di circa 10 miliardi a 20 miliardi.
L’ammontare complessivo del Recovery Fund sarà diviso in differenti progetti e linee di credito:
  • La più importante e cospicua è la cosiddetta “Recovery and Resilience Facility”, formata da 560 miliardi, di cui 310 in sovvenzioni e 250 in prestiti;
  • Un aumento di 55 miliardi al già presente Fondo di Coesione per supportare misure sociali, come l’aumento della disoccupazione giovanile;
  • Supporto agli investimenti privati e strategici nelle regioni più colpite per un ammontare complessivo pari a 46 miliardi;
  • Un piano pari a circa 10 miliardi per il sistema sanitario e l’aumento di oltre 90 miliardi per la ricerca in campo sanitario, digitale e ambientale.
Per la prima volta nella storia l’Unione Europea ha messo in atto un piano ambizioso, che potrà essere calpestato solo dagli egoismi di pochi Stati nazionali. Un piano che riconosce la consapevolezza che è necessaria una maggiore coesione fiscale tra gli Stati e che la caduta di ciascuno Stato membro può mettere a rischio il mercato unico europeo. Per concludere, la Commissione Europea ha proposto sotto un’altra denominazione gli Eurobond che l’Italia ha sempre richiesto. L’Italia, grazie all’appartenenza all’Unione Europea riuscirà a ricevere ingenti fondi nel corso dei prossimi anni e ad investire in settori strategici per il futuro, senza caricarsi l’onere di finanziarsi da sola a tassi altissimi sul mercato e caricare il peso di questa crisi sulle nuove generazioni come avrebbero voluto tanti nostalgici sovranisti anti-italiani.
Redazione GD

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