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Alias dal latino “altrimenti detto”

Oltre il “caso Appignanesi”

Quest’anno il caso mediatico che ha riportato sotto i riflettori il tema dell’Identità alias è avvenuto durante le elezioni per il CNSU, un organo consultivo del Ministero dell’università e della ricerca italiano, composto da studentə universitariə di tutta Italia.

Ogni studentə-candidatə deve presentare i dati anagrafici di nascita al ministero, per questo motivo è stato richiesto di riportare il nome femminile del candidato Samuele Appignanesi, ragazzo e attivista transgender.

Quello di Samuele, purtroppo, non è un caso isolato, ma un problema sistemico: esistono centinaia di Samuele in tutta Italia.

A questo punto ci si potrebbe domandare che senso abbia il 17 maggio, la giornata contro l’omobilesbotransfobia, se ogni anno la burocrazia italiana, non riconoscendo il genere di una persona trans e quindi costringendola a identificarsi ogni giorno, più volte al giorno, con un genere che non le appartiene e con un nome che non le appartiene, attua una violenza.

Se però lo stato italiano a livello centrale è incredibilmente carente, la nostra società è spesso ben più avanti: molte istituzioni, scuole, università, aziende ed enti locali si sono dati da fare per riconoscere alle persone transgender i diritti più basilari.

Cos’è la carriera alias?

Più di 32 università in tutta Italia hanno messo a disposizione la carriera alias: un profilo per studentə trans e nonbinarə alternativo e temporaneo. Essa permette di sostituire il nome anagrafico, cioè quello scritto nei documenti ufficiali e dato in base al sesso assegnato alla nascita, con quello adottato fino alla rettifica anagrafica ufficiale.

Evitando deadnaming e misgendering, cioè l’utilizzo del nome e dei pronomi relativi al genere assegnato alla nascita, rendendo la permanenza universitaria più confortevole e inclusiva.

Tuttavia il nome scelto non può, non essendo un documento legale, essere utilizzato per esempio nell’attestato di laurea o per accedere ad altri servizi.

Nel mondo del lavoro?

Risale al 2021 l’ideazione della cosiddetta “identità alias” nelle nuove proposte contrattuali dei dipendenti pubblici. 

Proprio di recente è stato inserito un nuovo articolo, il n. 21, in cui si certifica che «Al fine di eliminare situazioni di disagio ed evitare che possano determinarsi forme di discriminazione nei confronti del lavoratore che ha intrapreso il percorso di transizione di genere le amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ne faccia richiesta supportata da adeguata documentazione medica. L’identità alias da utilizzare al posto del nominativo effettivo risultante nel fascicolo personale riguarda, a titolo esemplificativo, il cartellino di riconoscimento, le credenziali per la posta elettronica, la targhetta sulla porta d’ufficio»
Questo ha comportato non solo il riconoscimento delle persone transgender, ma anche una loro equiparazione in termini contrattuali e di retribuzione. 

Purtroppo però la parificazione nel mondo del lavoro è ancora lontana: l’amministrazione pubblica è l’unica che, al momento, prevede una normativa di questo tipo.

Va però precisato che questo articolo vale solo per dipendenti di pubblici ministeri, agenzie fiscali ed enti non economici, tra cui Inps ed Inail, ma non ancora per tutte le componenti della pubblica amministrazione: per esempio, ne è escluso tutto il comparto sanitario. 

Perché, nonostante non sia utilizzato ovunque, è uno “strumento” importante?

Oltre a  funzionare indipendentemente dall’avvenuto cambio anagrafico (per il quale è necessario avere iniziato la terapia ormonale e un iter burocratico piuttosto lungo), riconosce e dà dignità a tutte le forme di autodeterminazione identitaria di genere.

Punto Milano Metropolitana- Il Registro di Genere

È fondamentale che le istituzioni si occupino di un tema come l’identità alias, che riguarda l’identità e l’esistenza stessa di moltə di noi: avere accesso a documenti, tessere, badge con il proprio nome di elezione invece del deadname, infatti, permette alle persone transgender e non binarie di poter esprimere la propria identità senza essere costrette a fare un coming out forzato negli uffici pubblici, in palestra, sui mezzi di trasporto, un’imposizione inaccettabile che spesso è anche causa di gravissime violenze. 

È per questo che, in assenza di una normativa nazionale (ferma a quarant’anni fa), il Consiglio Comunale di Milano ha deciso di esprimersi approvando un Ordine del Giorno presentato dalla consigliera del Partito Democratico Monica Romano, prima consigliera transgender nella storia di Milano: questo OdG richiede per la prima volta in Italia che il Comune istituisca un Registro di genere, attraverso il quale tutte le persone transgender e non-binary siano in grado di equiparare il proprio nome di elezione al nome anagrafico (ossia quello presente sui documenti) attraverso una semplice dichiarazione davanti a un Ufficiale di stato civile, quindi senza alcuna perizia medica, ai fini di documenti di competenza comunale (badge di dipendenti comunali, abbonamento ATM, tessere bibliotecarie, impianti sportivi comunali).

Il percorso che porterà all’attuazione del Registro di genere purtroppo non sarà breve e richiederà ancora tanto lavoro e uno sforzo coordinato di tanti uffici comunali, ma una delle persone che se ne sta occupando è proprio la nostra Gaia Romani, Assessora ai Servizi Civici, che ha seguito la proposta sin dall’inizio e si dice ottimista: “Milano, con l’approvazione dell’OdG sul Registro di genere, si schiera ancora una volta dalla parte dei diritti, mentre la normativa nazionale è ferma a quarant’anni fa e il nuovo governo ha un’idea di Italia chiusa e retrograda. Adesso la palla passa a noi: stiamo lavorando senza sosta con tutti gli uffici per rendere finalmente operativo il Registro di genere. Milano c’è!”.

Sulla scia di Milano molti altri comuni, tra i quali Roma, Bologna, Padova e Lecce, stanno lavorando al registro di genere: quello che per alcunə è un piccolo passo deve ricordare a tuttə che nessunə deve e può accontentarsi quando si parla di diritti.

Un governo debole con i forti e forte con i deboli

Le dichiarazioni di vari esponenti del Governo Meloni mostrano la vera natura di questa maggioranza: un ammasso di politicanti bigotti e omolesbobitransfobici pronti ad accanirsi con chi è oppressə.

Per questo come federazione GD Milano Metropolitana, con tutte le nostre forze, ci continueremo a impegnare per far sì che le persone cisgender  nelle istituzioni e non solo riconoscano le vostre esigenze: ci siamo e vediamo tuttə voi.

Non dobbiamo fare passi indietro: ora più che mai è necessario che tuttə ci impegniamo per permettere a chiunque di autodeterminarsi ed essere riconosciutə  con più facilità e velocità.

Ci appelliamo a chiunque sia nelle istituzioni – di ogni ordine e grado- per tutelare e proteggere la comunità LGBTQI+.

Redazione GD

Redazione GD

La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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