fbpx

 

di Pompeo Borlone

Lo scorso 16 luglio l’Unione Europea ha sottoscritto un memorandum d’intesa con la Tunisia, in base a un accordo raggiunto con il presidente Kais Saied, a seguito di trattative tenute con la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e il premier italiano, Giorgia Meloni. Il patto copre cinque pilastri che vanno dalla stabilità macroeconomica al commercio e agli investimenti, passando per la transizione ecologica, contatti interpersonali e migrazione, oltre a destinare novecento milioni di euro di finanziamento al Paese magrebino e ulteriori centocinque milioni solo per la gestione di problematiche legate alla migrazione.

Il memorandum segue una precisa strategia dell’Unione Europea nell’amministrazione dei flussi di persone che cercano di entrare irregolarmente all’interno dei confini comunitari: si parla  di esternalizzazione delle frontiere, cioè l’intenzione di bloccare il migrante nei Paesi di confine dell’Unione in cambio di finanziamenti. Infatti, accordi come questo sono stati già siglati con diversi Stati, come Turchia, Libia e Marocco, con esiti diversi, ma tutti con l’obiettivo di limitare più o meno efficacemente gli effetti delle ondate migratorie sulle nazioni Europee.

Tuttavia, questo modus operandi ha fatto emergere nel corso del tempo diverse problematiche. Prima di tutto c’è da considerare l’efficacia di questi accordi, dato che il più delle volte le difficoltà dovute alla gestione dei flussi vengono semplicemente rimandate nel tempo o limitate di poco. Anzi, spesso accordi di questo tipo non sembrano effettivamente affrontare il problema, ma parrebbe che la loro utilità sia quella di semplice marchetta elettorale.

Inoltre, non bisogna dimenticare che memorandum come quello siglato con la Tunisia vengono sottoscritti sulla pelle delle persone migranti, con conseguenze gravissime. Come si è visto in Libia negli ultimi anni, i finanziamenti forniti dall’Italia sono andati a sovvenzionare i c.d. “lager libici”, strutture dove i migranti sono soggetti a uccisioni, torture e stupri, denunciati più volte non solo da diverse organizzazioni non governative impegnate nella difesa dei diritti umani, come Amnesty International, ma anche dall’ONU, che più volte si è espressa anche in condanna dell’Unione Europea per il suo comportamento di condiscendenza nei confronti della situazione nel paese nord africano.

E in tutto questo, lo scenario che si prospetta di fronte al memorandum d’intesa con la Tunisia non sembra tanto migliore rispetto accaduto con la Libia. Infatti, a seguito del colpo di stato del 25 luglio del 2021, il Paese guidato da Kais Saied sta subendo una degenerazione sempre più autoritaria e repressiva, che vede costanti arresti arbitrari, violazioni dei diritti umani nel paese e del diritto tout court, condannati tra l’altro in una risoluzione del Parlamento Europeo approvata a marzo scorso. In questo scenario, poi, è da inserire anche la situazione economica, condizionata da una forte crisi del debito e da un’inflazione galoppante che sta mettendo in ginocchio tutta la nazione. Ci troviamo, quindi, di fronte a una prospettiva in cui, da un lato, i finanziamenti europei possono essere utili a risollevare le sorti economiche del Paese (o a finanziarne gli strumenti repressivi) e, dall’altro, la gestione migratoria in un’ottica respingente e di divisione svolge un ruolo di strumento di distrazione di massa, con il migrante subsahariano che diventa perfetto capro espiatorio per i problemi che attanagliano la popolazione tunisina. La tematica viene di fatto ideologizzata e strumentalizzata, come d’altronde si è già visto qui in Italia e in altri Paesi dove governano forze politiche della destra populista, causando divisioni e scaricando il problema verso chi versa in condizioni più precarie. Ovviamente la gravità della situazione non si ferma solo al mero dibattito politico, ma ha grosse conseguenze sulla vita di chi cerca di entrare irregolarmente in Tunisia: forse non vedremo sorgere delle strutture simili ai lager libici, ma già adesso numerose famiglie si sono ritrovate private della loro abitazione, costrette a lasciare le case in cui vivevano in affitto, e si sono trovate disoccupate. All’inizio di luglio, circa 1.200 persone di origine subsahariana sono state arrestate dalle forze di sicurezza tunisine e abbandonate in una zona desertica vicino al confine con la Libia.

E tutto ciò avviene non solo con l’approvazione, ma anche con i finanziamenti concessi dall’Unione Europea. È nostro obiettivo guardare verso soluzioni diverse, orientate verso l’accoglienza e l’integrazione di chi entra in Italia e in Europa. Molte sono le problematiche legate al modello comunitario di gestione dell’immigrazione, tema spesso legato a una propaganda fatta sulla pelle di chi decide di migrare e non affrontate in maniera sistematica e collaborativa. Da un lato, è assolutamente necessario superare gli accordi di Dublino, per favorire una visione comune sul tema, dando maggiori competenze all’Europa e non lasciare che siano i singoli Stati membri a decidere in contrasto gli uni con gli altri; dall’altro è indispensabile reintrodurre un’operazione Mare Nostrum, perché non si possono lasciare morire altre persone nel mar Mediterraneo non solo facendo finta di nulla, ma anche incolpando chi, invece, queste persone cerca di salvarle.

———————————————————————————————————————————————————————-

Fonti:

Redazione GD

Redazione GD

La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.