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Introduzione: come Redazione dei GD Milano abbiamo intervistato un senatore illustre che, nel corso delle sue undici legislature (dalla sua prima elezione nel 1983 ad oggi) è stato testimone ad autore della storia del Paese, dal Craxi I al governo Meloni. Abbiamo parlato di partiti, Prima Repubblica ed Europa con Pierferdinando Casini, l’ultimo democristiano.


GD: Lei è stato eletto alla Camera per la prima volta nel 1983, a soli 28 anni. In anni recenti abbiamo assistito a molta ideologia sui “giovani”, eppure la realtà dei fatti rimane abbastanza desolante. Che rapporto c’era, ai tempi della DC, fra la dirigenza più anziana e i suoi militanti giovani?

PFC: Innanzitutto voglio fare una premessa: non si può parlare astrattamente del tema della politica giovanile, studentesca o in generale di quegli anni astraendola dalla situazione internazionale, che era un elemento centrale nelle dinamiche politiche nazionali. Gli anni di cui parliamo, fino al 1989 la dinamica della Guerra Fredda, del Muro di Berlino, dell’Unione Sovietica, del blocco comunista, ecc. sono caratterizzanti al punto la scelta atlantica o sovietica dell’Italia era cruciale. Sono dinamiche talmente caratterizzanti che a un certo punto, nella Sinistra, ci fu la famosa frase di Berlinguer sulla maggiore sicurezza dell’ombrello della NATO. Quella strada, nella sinistra politica italiana, apre la via all’Eurocomunismo e al rifiuto dell’Unione Sovietica.

È importante tenere a mente che io ho visto quegli anni, un quadro molto diverso da ciò che succedeva ad esempio negli anni ’60, quando iniziava quel processo di allontanamento dall’URSS a seguito dell’invasione dell’Ungheria e della Cecoslovacchia e che culminerà con il progetto eurocomunista. Poi, nell’89 cade il muro di Berlino, io credo cada in testa ai democristiani piuttosto che ai comunisti e, infatti, è la DC il primo partito a subirne gli effetti.

Perché la DC subisce gli effetti più del PCI? Perché la DC teneva insieme cose molto diverse, era il partito-Stato che univa correnti sindacali di sinistra e correnti più moderate provenienti dalla destra che condividevano alcune idee di fondo e il rifiuto dell’alternativa comunista. Quando cade il muro di Berlino la sinistra si sdogana dal pericolo comunista e viene meno il bisogno dell’unità politica dei cattolici coagulati intorno alla Democrazia Cristiana.

Quando io arrivo in Parlamento già conoscevo gli esponenti democristiani, come Fanfani, Andreotti, Forlani e così via. poiché ero in Consiglio nazione da tanto tempo ed ero stato vicesegretario nazionale dei giovani. Tutti loro avevano grande attenzione nei confronti miei e, in generale, dei giovani della DC e del Movimento Giovanile. In Parlamento poi conosco altre personalità come Giorgio Almirante, leader del Movimento Sociale Italiano e Alessandro Natta, leader del Partito Comunista che non era ancora segretario [lo divenne nel giugno 1984], ma capogruppo parlamentare.

Natta mi prende in simpatia, anche se già indirettamente mi conosceva attraverso i suoi compagni di Bologna, e mi chiede che scuola ho fatto. Io rispondo: “il liceo Galvani”. Da quel giorno, ogni volta che Natta mi vedeva, iniziava a parlarmi in latino. Io, anche se avevo fatto il classico, non ero in grado di rispondergli, mentre lui era un latinista e un grecista incredibile.
Ciò dà la cifra di com’era la classe dirigente dell’epoca: culturalmente forgiatissima, curiosa per i giovani e talmente autorevol da essere anche umile. Questa dimensione non era individuale, ma trasversale a una dirigenza che è stata collettivamente grande per il nostro paese.

La politica allora era idealità. A voi che siete impegnati in un partito che cerca di conservare questa eredità voglio dare un consiglio: fate formazione politica. La politica non si improvvisa col dilettantismo, questo concetto l’hanno capito anche i 5 Stelle che ora si stanno professionalizzando. Il dilettantismo è figlio di quelle persone che pensano che professionalità e competenza non servano a nulla.
Io ho scritto un libro intitolato “C’era una volta la politica: parla l’ultimo democristiano” in cui ho voluto rendere onore non solo ai democristiani, ma a tutte le persone che hanno dedicato con passione la propria vita alla politica, fossero comuniste, socialiste o liberali. Desideravo rendere onore a tutti loro, lamentando allo stesso tempo l’avanzata in anni recenti dell’antipolitica e l’idea che il problema fossero i politici in sé.

Dopo di che, ovviamente, l’antipolitica si è generata attraverso la politica e i suoi errori: se la politica fosse stata sempre virtuosa non ci sarebbe stata questa reazione.
In ogni caso, in passato c’era attenzione per i giovani e per la loro crescita. Molti dirigenti dei partiti giovanili di allora sono poi diventati membri di una classe dirigente di una certa qualità.

GD: Se non sbaglio, quando è stato eletto nell’83 il governo insediato dopo le elezioni era il Craxi I, il primo socialista Presidente del Consiglio. Che ricordo ha lei di Bettino Craxi, una delle figure politiche più controverse della storia repubblicana?

PFC: Craxi è stato un grande leader politico, sicuramente molto decisionista e con opinioni importanti sul futuro dell’Italia, specialmente a livello di riforme istituzionali. Ne ho apprezzato molto l’attenzione al mondo palestinese (e arabo in generale) in linea con la sua visione della politica nel Mediterraneo. Ha avuto dei momenti importantissimi nella sua carriera politica, penso a Sigonella e alla difesa della dignità nazionale rispetto a una certa arroganza degli Stati Uniti.

Naturalmente, Craxi è stato sommerso dall’onda di Tangentopoli. È ovvio che quest’onda ha finito per impedire che di Craxi si potesse dare un giudizio obiettivo, che è finito -per una certa fase storica- in un girone dell’Inferno col marchio della corruttela. In realtà, la corruzione c’era effettivamente nella Prima Repubblica, ma io credo che in verità essa non muoia per Tangentopoli ma per l’esaurirsi delle condizioni internazionali che la tenevano insieme. Tangentopoli è stata la goccia che fatto traboccare il vaso. Sarebbe il caso di capire e valutare se tutto il percorso di Mani Pulite ha finito per coincidere con una bonifica reale del tessuto politico italiano o, forse, ha dato il via a processi degenerativi; ma sarà la storia a giudicare.

Io credo che l’operazione di bonifica sia stata salutare, anche se i metodi non sono stati sempre accettabili. In generale credo in uno Stato di diritto in cui ognuno fa la sua parte, non credo alla supplenza della magistratura sulla politica ma, al contempo, è vero che questa supplenza avviene quando la politica è debole.

Oggi, in Italia, avviene un processo per certi versi simile di lateralizzazione del Parlamento a favore di un esproprio di poteri volto a dare maggiore centralità al governo. La magistratura è stata, in parte, complice di questo gioco assumendosi una sorta di ruolo da sindacato ispettivo sulle leggi del settore. Tutto ciò costituisce un processo degenerativo determinato in gran parte dalla timidezza e dall’incapacità della politica.

GD: Possiamo dire che anche la Seconda Repubblica è finita, secondo lei cosa dovrebbe recuperare la Terza Repubblica dello spirito della Prima?

PFC:  Prima di tutto, se io fossi il segretario del PD -esercizio che è nell’ipotesi della fantascienza- farei una grande battaglia per l’Europa. De Gasperi prima di morire disse che l’Europa non sarebbe sopravvissuta solamente col polmone economico ma richiedeva un’anima politica. L’anima politica è la politica estera di difesa in comune. Oggi, ad esempio, nel Mediterraneo le carte vengono date da russi e turchi e l’Europa non esiste, siamo sempre più spettatori.

Abbiamo immensamente bisogno di una politica comune: quando sono nato io [nel 1955] l’Europa deteneva il 50% del PIL mondiale, oggi è al 20% perché abbiamo non solo la Cina (su cui tutti si concentrano), ma anche l’India, il Brasile, l’Indonesia, la Corea del Sud, il Sud Africa e così via. Noi oggi siamo irrilevanti, se non siamo uniti come europei. La tesi principale dei sovranisti è “l’Europa non fa, per cui noi dobbiamo fare come stati nazionali”; questo è un errore: gli stati nazionali europei -anche la Germania- sono incapaci di incidere a livello internazionale senza un sovranismo europeo.

L’altra grande questione degasperiana che io riprenderei è il multilateralismo. Oggi il multilateralismo è in crisi, questa è una delle questioni che determina l’incapacità di risolvere le crisi e, dunque, il moltiplicarsi delle stesse. Dalla Palestina a Israele, al tema della Corea, all’Ucraina, alla Russia, al Kosovo, al tema dell’Armenia, dell’Azerbaigian e di Taiwan.

Se il multilateralismo non funziona non serve scartare l’ONU, ma bisogna migliorarlo e adattarlo. Se il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale non funzionano bene, bisogna adeguarli, non sopprimerli. L’insufficienza è di questo multilateralismo, non del multilateralismo in sé. Anzi, il mondo di oggi ci dimostra che del multilateralismo c’è più bisogno di prima.

Multilateralismo, pace ed Europa. Sono queste le grandi questioni che ha davanti non la destra o la sinistra ma l’Italia.

GD: Oggi sempre meno persone votano, com’è cambiato il rapporto tra eletto ed elettore?

PFC:  Ai miei colleghi parlamentari che lavoreranno insieme a me sul tema della riforma costituzionale voglio dire: la prima riforma è restituire lo scettro ai cittadini nella scelta dei parlamentari. Le preferenze possono essere fortemente criticabili ma, ad oggi, sono necessarie. Pena il prodursi di situazioni in cui i cittadini non conoscono i propri eletti.

Quando sono stato eletto io per la prima volta la competizione all’interno del partito era aspra, ma giravamo i circoli e le persone ci conoscevano. Un discorso analogo valeva per i candidati comunisti, liberali e così via. C’era radicamento. All’astensionismo concorre il non conoscere più neanche i propri rappresentanti.

Inoltre, voglio dire che la rete è uno strumento fantastico, certamente, ma non è la vita. Si tratta di uno strumento capace di portare informazioni e contatti in maniera immensa, ma apre anche la strada a progetti degenerativi. Sono profondamente impressionato da questa somma di ragazzi che si suicidano a causa di cyberbullismo. Chi è più vulnerabile va aiutato, bisogna far capire che Internet e Instagram non sono il Dio vivente, c’è altro e bisogna tenerlo a mente. Urge coltivare rapporti umani, carne e ossa con le persone. La politica è questa cosa qui, è rapporto umano che deve svilupparsi.

GD: sono dunque tutti questi elementi che hanno portato, secondo lei, al calo progressivo di affluenza elettorale e partecipazione alla vita pubblica?

PFC: Nella Prima Repubblica c’era una staticità elettorale notevole data dal fatto che c’era uno scontro ideologico forte, era impensabile che un comunista votasse DC o viceversa. Una volta finite le contrapposizioni ideologiche e i partiti organizzati in favore dei partiti personali ecco che emerge il fenomeno della mobilità dell’elettorato. In una prima fase la staticità degli elettori viene sostituita dalla mobilità elettorale, nella fase di oggi questa viene sostituita dall’astensionismo. Se prendiamo in esame i governi Prodi e Berlusconi di quella che si chiama generalmente “Seconda Repubblica”, vediamo che il numero di voti assoluti con cui questi governavano [circa 18-19 milioni fra le elezioni 2001 e 2006] e li paragonate a quelli con cui la Meloni governa oggi [12 milioni] voi vedete che siamo davanti a una fuga dalle urne.

Questo spiega anche (e dovrebbe spiegarlo al Presidente del Consiglio) perché è difficile far passare i referendum e le riforme, se la campagna elettorale mobilita gli elettori è facile che il decreto presentato venga bocciato.

GD: Un’ultima domanda sulla sua città, Bologna, che sappiamo essere per lei molto importante. Nell’immaginario comune, Bologna è la capitale del voto a sinistra in Italia. Nonostante ciò, due dei più importanti politici della Seconda Repubblica, lei e Romano Prodi, erano due democristiani. Lei come spiega questo fatto?

PFC: Prodi era certamente un democristiano, ma era l’uomo ideale per unificare la sinistra. Sia perché i democristiani di sinistra lo ammiravano sia perché per i comunisti non è mai stato un democristiano “vero e proprio”. È stato l’uomo ideale per unire il centrosinistra, non è un caso che Prodi sia riuscito a battere Berlusconi due volte. Vittorie certamente non casuali date dalla sua capacità di unire realtà diverse. A Bologna è stato sempre molto amato, nonostante non fosse propriamente bolognese ma reggiano ha vissuto profondamente la città di Bologna e ama la città.

Io ho sempre mantenuto con Bologna un rapporto stretto, ho lì i miei fratelli e mia mamma. La risposta alla tua domanda è: io penso che questo sia un nostro merito, la città mi ha votato come emblema di bolognesità, mi ha sempre rispettato e io ho sempre rispettato lei.

Ti racconto un episodio: durante l’epoca di Zaccagnini [segretario della DC dal 1975 al 1980] si decise di organizzare la “Festa dell’Amicizia” come versione nostra della Festa dell’Unità. Nella mia sezione della DC, che si chiama “sezione Kennedy”, ci impegniamo per organizzare questa festa ma non sapevamo niente: soprattutto non conoscevamo la tecnicalità (come montare gli stand, preparare le cucine e così via). Ci lambicchiamo in riunioni e contro-riunioni e non ne veniamo fuori. Alla fine, si decide che uno di noi, puntualmente io che ero quello giovane, dovesse andare alla sezione del PCI a chiedere aiuto: i comunisti avevano molta più esperienza di noi sul tema, con la lunga esperienza organizzativa delle Feste de l’Unità. Per farla breve: è finita che sono venuti loro a montarci gli stand. Questa storia cosa dimostra? Che eravamo due popoli diversi, ma con il minimo comune denominatore: la passione per la politica. Due popoli diversi che si sono sempre rispettati.

Bologna è questa cosa qui: in una delle ultime campagne elettorali un segretario di sezione mi chiama perché alcuni iscritti non volevano votarmi. È una preoccupazione comprensibile, essendo io stato, in passato, associato a forze di centro-destra e così via. Alla fine, questo segretario di sezione, convince gli iscritti a votarmi ricordando loro che ho sempre partecipato agli eventi della città di Bologna, come la processione della Madonna di San Luca, che è molto sentita ed è unitiva per credenti e non credenti.
Questo per dirvi cos’è Bologna e dove si ritrova unità pur al netto della divisione politica.

GD: La ringraziamo per la sua disponibilità, arrivederci!

PFC: arrivederci!

 

 

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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