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di Diego Canaletti

Quando in queste settimane pensiamo agli Stati Uniti, le prime questioni che ci vengono in mente sono domandarci chi vincerà le elezioni e se Trump riuscirà ad ottenere un secondo mandato.

C’è un’altra domanda che secondo me bisognerebbe porsi, aldilà dei sondaggi, dei modelli predittivi, della possibile vittoria democratica o repubblicano in quello o quell’altro Stato: ma Donald Trump se lo merita un altro mandato?

Chi scrive queste righe non è necessariamente un never-Trump in quanto riconosco alcuni meriti a Donald Trump. Meriti che gli sono oggi riconosciuti anche all’interno del Partito Democratico. I consiglieri della politica estera di Joe Biden affermano che Trump abbia fatto venir meno alcuni taboo su cui gli Stati Uniti si erano incancreniti nel corso degli ultimi vent’anni.

Guardiamo al rapporto con la Cina: Washington ha creduto per anni di poter rendere democratica la Cina integrandola nel sistema internazionale. Tale processo democratico fino a questo momento non si è avviato e anzi, ogni minima apertura ideologica all’occidente sembra essere stata cancellata da quando Xi è salito al potere.

Guardiamo anche al rapporto con le organizzazioni internazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La gestione da parte dell’OMS dell’attuale pandemia è stata disastrosa. Ancora più disastrosa è stata la gestione della questione Cina-Taiwan. L’OMS si è più volte congratulata con Pechino per la gestione dell’epidemia nonostante il governo cinese si sia rifiutato di fornire tutta la documentazione ufficiale che avrebbe permesso un contenimento decisivo della malattia. Dall’altra parte, nessuna parola è stata spesa nei confronti di Taiwan, che l’epidemia è stata in grado di gestirla in maniera seria ed efficace, comprendendo per prima l’importanza del sistema di tracing e della funzionalità delle mascherine, tutti elementi che l’OMS aveva deciso di ignorare. Nei primi mesi di quest’anno era diventato famosissimo il video in cui un funzionario dell’Organizzazione fingeva di avere problemi di connessione internet quando gli veniva chiesto se visti i risultati conseguiti da Taipei, l’OMS avrebbe modificato il proprio approccio nei confronti dell’isola. Dopo la denuncia dell’accordo dell’OMS da parte di Trump, alcuni Paesi europei hanno cercato di frenare l’iniziativa statunitense aprendo all’apertura di un processo riformatore all’interno dell’organizzazione, segnale che il sentimento di diffidenza nei confronti della WHO sia condiviso da entrambe le sponde dell’Atlantico.

Su altre iniziative di Trump si può non essere d’accordo per una questione di ideologica o valoriale. Ma nel’afrontare tali questioni dobbiamo sempre tenere a mente la differenza culturale che esiste tra il nostro Paese e il loro. Leggere la politica domestica statunitense con le stesse lenti della politica domestica nostrana signfica compiere un errore puro e semplice.

Il fatto che per noi italiani non avere l’assistenza sanitaria risulti essere difficile da comprendere, in una certa fetta degli Stati Uniti quest’assenza è motivata da questioni valoriali, culturali e ideologiche. Leggere la loro politica domestica con gli occhiali della nostra è un errore puro e semplice. Esprimere giudizi senza tenere in considerazioni questi caratteri significa fare delle analisi parziali e quindi potenzialmente errate.

Sull’assistenza sanitaria e sul taglio delle tasse, l’Amministrazione Trump si è comportata come una classica Amministrazione repubblicana. Certo, da persona che si ritiene essere pro-choice mi preoccupa lo spostamento della Corte Suprema a destra, perché ritengo che sia diritto delle donne poter scegliere se proseguire o meno la gravidanza, ad esempio. Ma l’argomentazione del Leader di maggioranza al Senato, il repubblicano Mitch McConnell non fa una piega: nel 2018 i cittadini hanno votato per ampliare la nostra maggioranza al Senato, tutti sanno che siamo pro-life, che cosa vi aspettavate?

Su questo non mi sento di dare un giudizio proprio per via di quel retaggio culturale differente.

Ma è su un’altra questione che non c’è retaggio culturale che tenga e che mi fa dire che Trump altri quattro anni alla Casa Bianca non se li meriti: la propria leadership.

Non si tratta per l’uso dei tweet: per chi studia o ha studiato i processi decisionali, quei messaggi sono una manna dal cielo che permettono di far luce in modo immediato su quello che avviene nelle stanze dei bottoni. La leadership a cui faccio riferimento è quella che il Presidente utilizza nei momenti di crisi, quella in cui diventa la guida a cui i cittadini fanno riferimento.

In questo 2020 sono due le crisi che hanno riguardato gli Stati Uniti: la prima è il coronavirus la seconda sono le proteste di massa sorte a seguito della morte di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso con un ginocchio sul collo da un poliziotto a Minneapolis.

Nel primo caso Trump ha voluto celare la gravità del virus, nonostante l’avviso del proprio Consigliere alla Sicurezza Nazionale secondo quanto riportato da Bob Woodward nell’ultimo libro “Fear”. Trump ha voluto per circa un mese chiudere gli Stati Uniti e metterli in lockdown ma dopo questo periodo di tempo ha spinto per una riapertura rapida, tanto che mentre nei Paesi europei parliamo di una seconda ondata, negli States si parla di una terza ondata.

Mascherine e distanziamento sociale, i due elementi che sono diventati essenziali per combattere il virus sono stati ignorati brutalmente dall’Amministrazione Trump e dalla sua campagna. Trump ha ripetutamente preso in giro lo sfidante Biden per aver fatto comizi dal proprio scantinato o retwittando le foto in cui l’ex Vicepresidente indossava la mascherina dicendo che stesse meglio con il volto coperto che scoperto.

In questi ultimi mesi di campagna elettorale, Trump ha organizzato rally all’aperto con centinaia di persone, ammassate e prive di mascherine. Gli studi hanno dimostrato come dopo i rally, le comunità vicine subiscono un’impennata delle infezioni di COVID-19.

C’è qualcosa che non funziona se il cosiddetto leader del mondo libero antepone i propri interessi elettorali al benessere della nazione. Il problema sta tutto nella personalità di Trump: il dover dimostrare di essere forte a tutti i costi altrimenti si corre il rischio di apparire debole. Essere responsabili però non è sinonimo di debolezza. Seguire le direttive delle persone competenti e non il proprio istinto non è segnale di vulnerabilità, al contrario, è segnale di essere in grado di riconoscere i propri limiti e valorizzarli e dimostrare dunque d’essere forte perché si è sicuri di sé.

Trump però ha politicizzato tutta la gestione del coronavirus: se rispettavi il distanziamento sociale e portavi la mascherina eri inevitabilmente un democratico con tendenze socialiste. Questa retorica la si vede quotidianamente su Twitter, dove il Partito Repubblicano della Camera dei Rappresentanti affermano che i democratici vogliono richiudere il Paese privandolo della sua libertà. La soluzione opposta, invece, ha lasciato sul terreno 230mila morti.

Il totale ripudio di queste regole si è visto a fine settembre durante la festa per la nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema che si è tramutato in un evento in cui tre senatori sono venuti a contatto con il coronavirus, risultando positivi e che forse ha contribuito direttamente o indirettamente al contagio dello stesso Trump.

La divisione del Paese è stata fomentata anche nei confronti di George Floyd. Concentrando tutta la propria retorica nei confronti dei manifestanti violenti, ignorando quelli pacifici e non volendo neanche provare a comprendere come mai l’onda di violenza stesse attraversando il Paese.

Tutto si è ricondotto e limitato ad un “THUG” scritto su Twitter. Non un caso, chiaro. Erano giorni che la stampa si concentrava sulle proteste di massa e sul comportamento della polizia.

Questo secondo me trova spiegazione all’interno di The Art of the Deal. All’interno del libro Trump scrive:

One thing I’ve learned about the press is that they’re always hungry for a good story, and the more sensational the better. It’s in the nature of the job, and I understand that. The point is that if you’re a little different, or a little outrageous, or if you do things that are bold or controversial, the press is going to write about you.

Trump ha chiamato coscientemente i manifestanti THUG affinché l’attenzione ricadesse su di lui. Che leadership possiede un umo che in questi momenti di crisi quello che brama non è pacificare il Paese bensì ottenere l’attenzione della stampa?

Qualcuno dirà, come ha fatto qualche parlamentare italiano, che la violenza non è il modo opportuno con cui si può protestare. Come prima: non siamo statunitensi e non abbiamo il loro retaggio culturale. Per questo a me colpirono le parole di qualcuno che il loro retaggio culturale lo aveva, John Lewis. Rappresentante democratico della Georgia che nella propria vita aveva marciato assieme a Martin Luther King negli anni ’60. Lewis affermò che i saccheggi e gli incendi non erano il modo corretto di protestare ma che capiva e comprendeva quel modo di fare e auspicava che quei rivoltosi intraprendessero modi differenti per protestare.

Alla pacificazione del Paese ha preferito strizzare l’occhiolino alla propria base elettorale, il proprio core, facendosi esplodere il Paese in mano.

Quattro anni sono stati un periodo sufficiente per testare l’Amministrazione Trump. I pro ci sono stati ma i contro sono stati a mio avviso molti di più. Se la nuova politica estera potrà essere perseguita anche da un’eventuale amministrazione Biden, la tenuta sociale del Paese non potrà permettersi altri quattro anni di Donald Trump. Ne va delle istituzioni democratiche, della Costituzione e dell’American Way of Life.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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