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di Arianna Curti e Serena Gherghi

L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG o, più comunemente, aborto) non è un’opinione nel nostro Paese, è un diritto. Sicuramente è un tema sul quale possono esserci le opinioni più svariate, contraddizioni, come per tutti gli argomenti che coinvolgono l’essere umano da vicino, ma la sua esistenza come diritto non può essere messa in discussione. Chi lo fa spesso non conosce appieno come venga regolamentata in Italia e quindi contesta che sia una misura dalle maglie troppo larghe o fa prevalere la sua visione dell’umano e del concetto di vita in senso etico-morale riconoscendo come vita e soprattutto come potenziale soggetto vitale l’embrione e/o il feto. Di fatto l’aborto è stato rivendicato spesso come battaglia ideologica: vittoria da chi era a favore della sua legalizzazione, completa disfatta valoriale, insieme alla riforma del divorzio, da chi invece era di visione opposta.

Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di fare chiarezza. La L194/1978 è rubricata “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”. “Lo  Stato  garantisce  il  diritto  alla  procreazione  cosciente e responsabile,  riconosce  il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione  volontaria  della  gravidanza, di cui alla presente legge, non e’ mezzo per il controllo delle nascite.” Come è evidente da questo che è l’art. 1 della L194/1978, lo Stato afferma in modo molto chiaro la necessità di garantire nel nostro Paese il diritto a procreare avendo come fondamenta l’informazione e la scelta consapevoli, ma non incentiva o incoraggia l’aborto (da intendersi in senso di aborto volontario). Oltre all’aborto volontario, esistono anche l’aborto terapeutico e l’aborto spontaneo, il primo previsto all’art. 7 può esservi in caso di “imminente pericolo per la vita della donna” e “l’intervento può essere praticato anche senza l’intervento delle procedure previste” normalmente della legge (colloquio preventivo ecc…). Il secondo è “l’interruzione naturale della gravidanza entro il 180esimo giorno completo di amenorrea”. Per l’aborto volontario, si sottolinea come non possa essere considerato uno strumento di controllo delle nascite e richiama alla responsabilità nella procreazione. La L194/1978 affianca dunque due esigenze: la tutela della donna come madre nella sua funzione sociale e della vita umana dal momento in cui si possa definire tale (anche a livello scientifico la sua definizione non è esente da discussioni) e la tutela della donna che decide di non essere madre per le motivazioni più svariate: economiche, sociali, di salute, perché vittima di violenza. Obiettivo della legge, nel caso della IVG, era primariamente quello di ridurre gli aborti clandestini, tutelando la salute della donna.

L’aborto in Italia chiede “Permesso”

Permettere l’IVG e incentivarla sono, però, due concetti differenti. Lo Stato italiano laico, anzi, introducendo il colloquio obbligatorio preventivo e una serie di elementi necessari come condizioni di base per poter accedere all’IVG quali il “serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o a malformazioni del concepito” (art.4), sembra tenere in elevata considerazione posizioni anche etiche e morali e mostrare una certa prudenza.

Per chi ritenesse comunque di essere contrario all’esistenza della L194 va ricordato che in ogni caso, dopo una prima fase di assestamento, il numero totale degli aborti è diminuito drasticamente (tra il 1982 e il 2016 per esempio si arriva ad un – 74, 4 %). La riduzione  grazie alla L194 del numero complessivo di ricorsi all’IVG, sia, per chi ha fede, ma anche per chi non l’abbia e veda la questione solo da un punto di vista medico e clinico, come intervento farmacologico o chirurgico che per sua natura ha come tutti gli interventi un rischio intrinseco, si può ritenere come un risultato positivo.

A tal fine alleghiamo i dati del Ministero della Salute mostrati alla relazione in Parlamento sull’applicazione della L194/’78 in riferimento alle annualità sino al 2018. Evidentemente negli anni è aumentata la consapevolezza e dunque anche il ricorso a metodi contraccettivi. Come Giovani Democratici Milano, attraverso una campagna di sensibilizzazione davanti alle scuole, “Condona sto condom” avevamo sottolineato la necessità di una maggior diffusione dei mezzi contraccettivi, non solo ovviamente con finalità di prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, ma anche per evitare quelle che spesso vengono definite “gravidanze indesiderate” che derivano troppo spesso purtroppo da ignoranza sul tema: “Al primo rapporto tanto non si resta incinta” o “ Se hai il ciclo tranquilla che non resti incinta”. Questo gesto è insufficiente se alla base non vi è la corretta informazione. Spesso una parte dell’opinione pubblica ha espresso la sua contrarietà all’insegnamento di una educazione più prettamente alla sessualità rispetto a una che prediliga lo studio unicamente anatomico o un’educazione all’affettività che si concentri più su aspetti relazionali. Anche dando valore a questa posizione: oggi il mondo è interconnesso quindi volente o nolente basta avere una connessione a Internet per accedere a qualunque età a qualsiasi tema.  Il problema, anche in questo caso, sono le fake news. Come garantire dunque a chi si approccia a questo tema per la prima volta, l’informazione corretta e specifica che permetta in qualunque momento una scelta consapevole? Lo Stato, inteso laicamente, deve fornire a qualunque cittadina o cittadino ogni strumento possibile per formarsi un’opinione libera e per scegliere a propria discrezione come autodeterminarsi. A maggior ragione questo deve accadere nell’ambiente scolastico, cosa che avviene purtroppo troppo poco spesso, dove si formano i cittadini e le cittadine di domani.

L’obiezione di coscienza è più un’obiezione economica

Quello che ci chiediamo allora è: se i numeri degli aborti volontari sono in calo come testimoniano anche i dati sopra riportati, e dal momento che lo Stato stesso consente l’IVG, ma con mille condizioni, perché l’aborto rimane un tema caldo per il nostro Paese?

Innanzitutto bisogna liberare il campo da giudizi valoriali e morali: chi compie quella scelta va rispettata, come qualunque scelta legittima in uno Stato di diritto, indipendentemente dalla condivisione o meno delle sue motivazioni. E va distinto il piano di cosa si farebbe personalmente in quella circostanza, ammesso che si possa avere la sicurezza di saperlo preventivamente, dal piano della concessione a chiunque della libertà individuale, anche se non ne si condivide la scelta e del rispetto di tale volontà secondo i principi fondamentali di uno Stato di diritto.

In secondo luogo, è necessario garantire la massima assistenza medica a chi scelga di intraprendere il percorso di interruzione della propria gravidanza attraverso sostegno psicologico, anche postumo se necessita, e clinico. La procedura abortiva infatti, se farmacologica, con pillola RU 486 presuppone un certo funzionamento con particolari tempistiche e dei rischi di cui la persona deve essere informata; se viene effettuato tramite intervento chirurgico, necessita comunque di corretta informazione circa modalità esecutive, diritti, rischi che la donna corre, differenti condizioni tra una e l’altra tipologia.

Non c’è una contrapposizione obbligatoria tra legittimazione delle pratiche abortive e fede a nostro parere se si va a vedere la “ratio legis” della L194 cioè trasformare un fenomeno, che è quello dell’interruzione della gravidanza, comunque esistente e che verrebbe praticato clandestinamente, in qualcosa di pubblico, di cui ciascun cittadino sia portato a farsi carico, che sia sottratto a mancanza di sicurezze per la donna, a rischi speculativi. Lo Stato da le possibilità alla donna qualora la sua scelta sia dovuta a motivo ovviabili tramite sostegno statale di trovare nello Stato soluzioni, in caso contrario, nel rispetto della libertà di scelta che lo Stato in quanto laico deve garantire, le permette di effettuare l’IVG in condizioni sanitarie dignitose  e il più possibile sicure. A tal fine riteniamo opportuno consigliare la lettura di questo articolo di Avvenire in cui una persona di professione cattolica condivide la propria riflessione sull’aborto legale.

Ed è qui, a livello di dibattito ideologico, che si innesta un’altra discussione che ha al centro il concetto dell’obiezione di coscienza: questa si configura come la possibilità di decisione, motivata da etica o moralità religiosa, di non ottemperare legittimamente a un dovere imposto dall’ordinamento giuridico vigente. Il ginecologo che si appella all’obiezione di coscienza (sempre segnalata al momento dell’assunzione in una struttura ospedaliera pubblica) si rifiuta, dunque, di somministrare pratiche abortive alle donne che lo richiedono anche entro i primi novanta giorni decorsi dal concepimento (ad eccezione di aborto terapeutico, che è permesso entro il quarto o quinto mese di gravidanza). Non può sottrarsi però alle pratiche abortive se in condizioni di urgenza, cioè quando l’intervento è necessario e indispensabile per salvare la vita della donna. L’art. 9 della L194 recita “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Come mai l’obiezione di coscienza e l’aborto si scontrano, determinando così tanti ginecologi impossibilitati a somministrare pratiche abortive? Nel 2016, il Comitato Europeo dei Diritti Sociali, ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla salute delle donne in tema di aborto per le notevoli difficoltà che esse incontrano nell’accesso ai servizi d’interruzione di gravidanza anche per la ingente quantità di medici obiettori presenti nel nostro Stato. Il credo religioso sostiene la presenza di anima e di vita all’interno del feto, prescindendo dalla settimana di gestazione in oggetto: perciò, agli occhi di un ginecologo con una forte fede religiosa (non solo cattolica), si sta compiendo un vero e proprio omicidio. Tra le Scuole accreditate risulta il Campus Biomedico di Roma, nella cui Carta delle finalità, all’art. 10 si legge: “Il personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università …. considerano l’aborto procurato e la cosiddetta eutanasia come crimini in base alla legge naturale; per tale motivo si avvarranno del diritto di obiezione di coscienza previsto dall’art. 9 della legge 22 maggio n. 194”. Da un lato quindi la L194 che va applicata, dall’altra i principi dello Stato di diritto che permettono al medico che ha fatto giuramento di tutelare la vita di mantenere fede a quel giuramento qualora per credo personale o altra ragione riconosca nel feto la vita.

Il modo in cui la legge può dunque garantire l’aborto, rispettando la legittima obiezione di coscienza è quello di assicurare una quantità congrua di ginecologi non obiettori in ogni ospedale: eppure, è proprio qui che lo Stato si incaglia. Infatti, il 69 percento dei medici è obiettore, me le motivazioni sono davvero solo ed esclusivamente religiose?

A quanto pare, in realtà, sono pochi quelli che considerano l’aborto come una pratica omicida: molti, infatti, lo fanno per scelte di carriera o di remunerazione. Innanzitutto, perché l’aborto consiste in un’operazione semplice e poco complessa, che spesso non è gratificante; e spesso, dovendo sopperire alla grande percentuale di medici obiettori, chi non lo è resta costretto a trattare la pratica ambulatoriale per smaltire ciò che gli altri colleghi non fanno. Quindi, se si aggiunge alla questione religiosa anche chi aderisce all’obiezione per i motivi sopracitati, il numero cresce. E dato che la pratica abortiva non può essere trattata al di fuori della struttura ospedaliera (quindi non negli studi privati) e l’intervento è ormai di tipo ambulatoriale, la sua remunerazione è considerata spesso insoddisfacente. Ai medici non conviene praticare l’IVG, non è solo una scelta di credo. Verrebbero pagati troppo poco rispetto a qualsiasi altro intervento ginecologico.

Ed è proprio per questo motivo che le percentuali sono così alte: se si parlasse di soli motivi etici e religiosi, si potrebbe anche giustificare la difesa del proprio credo secondo i principi dello stato di diritto. Ma con l’aggiunta di motivi remunerativi e professionali, è praticamente impossibile assicurare l’esecuzione della legge 194.

In conclusione possiamo quindi affermare che parlare di L194 oggi significa parlare di una legge che non ha ancora ottenuto completa attuazione, che è oggetto ancora di dibattito, come lo è tutto ciò che riguardi l’umano, nella sua accezione più profonda, ma che rischia di non uscire dall’empasse se continuerà a non essere applicata nella sua interezza e resterà preda esclusivamente di posizioni ideologiche.

Infine, sempre sul tema di cui sopra, sulla sua attuazione incompleta e sulla questione dell’obiezione di coscienza, consigliamo la lettura del Capitolo 6 di Marilisa D’Amico, “Una parità ambigua“.

Redazione GD

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