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di Luca Cusimano

Ci ho provato. Vi giuro che ci ho provato. Ho cercato di non unire al coro schiamazzante di voci e opinioni sulla Superlega anche la mia, ma se state leggendo queste parole è chiaro che io abbia malamente fallito.

Però non ho intenzione di scendere nell’arena dei tifosi che se le danno (verbalmente?) per decidere se la Superlega sia un bene o un male, ma su un aspetto più specifico della vicenda, ovvero di come si dibatte di questa enorme novità. Insomma, il classico discorso per cui, come per Vasco Rossi, il problema sono i fan.

Non ho alcuna intenzione di spiegare come funzioni la neonata Superlega, lo hanno già fatto troppo bene quelli de l’Ultimo Uomo, ma spesso ho sentito tirare in ballo il “modello NBA”.

Questo è l’inizio dei problemi all’interno di questo colorito dibattito.

Ma cos’è l’NBA?

Dubito che coloro che hanno tirato in ballo la maggior lega di pallacanestro al mondo ne abbiano mai seguito le vicende, altrimenti semplicemente non l’avrebbero citata. La struttura dell’NBA si basa sull’esistenza di una lega molto forte con un commissioner completamente esterno ai club. Tale figura è un vero e proprio manager che ha a cuore i soli interessi della lega e dello sviluppo e diffusione del suo prodotto, ovvero il basket, in giro per il globo. Già questo dovrebbe far storcere il naso, in quanto il presidente della Superlega è presidente del Real Madrid, una delle squadre fondatrici.

Ma non solo. All’interno dell’NBA (prendo questa lega in quanto la più citata nonché quella che prediligo, ma il discorso sarebbe pedissequo anche per altre leghe americane come l’NFL) esiste un sistema denominato salary cap, ovvero nessuno può decidere di alzare il monte ingaggi a dismisura ma vi è un complesso sistema di limitazione di quest’ultimo, con lo scopo di permettere a tutte le 30 franchigie (italianizzazione del termine Franchise, utilizzato per indicare i club, Nda) di competere su basi più eque. Inoltre, lo stipendio che un giocatore può percepire è regolato da un contratto collettivo che sancisce limiti massimi di remunerazione in base ai risultati raggiunti dal singolo atleta, dal tempo di permanenza con la squadra e sempre in funzione delle cifre delineate dal salary cap.

His airness Michael Jordan, numero 23 dei Chicago Bulls.

Già questo è un incentivo alla redistribuzione del talento e dei titoli che in Europa mai si è visto, e probabilmente mai si vedrà, ma non finisce qui. Il meccanismo con cui i ragazzi escono dal college aumenta ulteriormente questo rimescolare le carte: i giovani crescono all’interno dei contesti scolastici (avrete sentito parlare magari di NCAA e March madness) ed entrano poi nel mondo dei professionisti tramite una selezione da parte delle squadre secondo la quale chi ha reso peggio l’anno precedente ha maggiori possibilità di scegliere per primo successivamente. Questo meccanismo viene definito draft. Per fare un esempio recente questo ha permesso a una squadra poco attrezzata e residente in un mercato piccolo come gli Charlotte Hornets di pescare un giocatore interessantissimo come LaMelo Ball. I leggendari Bulls di Jordan prima dell’arrivo del 23 non avevano mai vinto un titolo e non ne hanno mai più vinti dopo.

Già così cercare di tenere in piedi il paragone risulta difficile, a questo poi va aggiunto che l’unico punto di contatto tra i due modelli: un numero chiuso di partecipanti più o meno invariabili. In NBA le 30 squadre sono fisse, possono cambiare molto raramente nel caso in cui si decida di “spostare” una franchigia da una città a un’altra, come accaduto l’ultima volta nel 2008 ai Seattle Supersonics, che oggi esistono come Oklahoma City Thunder. Il concetto di ingresso per merito non esiste in quanto i migliori giocatori vengono naturalmente attratti nelle squadre NBA per un concetto per certi versi monopolistico. L’idea che ogni anno 5 partecipanti possano entrare per meriti relativi ai campionati nazionali non li sfiora nemmeno in quanto non hanno dei corrispettivi di tali campionati.

Ma allora non esistono paragoni?

I paragoni per questa Superlega esistono, abbiamo delle chiavi per comprendere questo smottamento, ma sono da trovare in casa nostra. Nell’europeissima lega di pallacanestro denominata Eurolega, fondata per com’è oggi nel 2000 dai club più ricchi del basket che, stanchi della gestione FIBA e degli scarsi introiti, hanno esercitato un vero e proprio strappo (ne parla bene La giornata tipo). Sì, dovrebbe ricordarvi molto qualcosa, così come la strutturazione della Superlega non suona nuova ai fan della palla a spicchi. Ovviamente vi sono lati positivi e negativi, di cui si potrebbe parlare a lungo, ma sicuramente è all’Eurolega che bisogna guardare per comprendere la mossa di Agnelli, Perez e gli altri.

Ma allora perché sentiamo parlare di americanata e di NBA?

Questo è il nodo dell’articolo. La risposta che sono riuscito a darmi è stata… boh. Non lo so, e vi giuro che non riesco a capirlo. Perché prima di dibattere di qualcosa non ci si informa? Perché non si guarda ai modelli in questione prima di parlarne, per comprendere se ha un senso porre in essere un parallelismo? È un modus operandi che ormai conosciamo bene e adottato da più parti, dal giornalismo all’opinione pubblica passando per i politici, e che se applicato allo sport fa solamente inalberare chiunque sia attento al tema, ma se applicato ad altri campi rischia di essere tremendamente dannoso. Vero vaccino Astrazeneca?

Permettetemi infine una nota a margine dalla vicenda. Questa spocchia e superiorità con cui si parla di sport americano, bollando tutto con “business e americanate che nulla ha a che fare con lo sport” mi ha molto colpito. Vi è una nostalgia intrinseca in questo dibattito per ‘il calcio che fu’, ‘lo sport che era’, ‘mica come oggi’, ‘i bei tempi della serie A campionato più bello del mondo’… Probabilmente sarò io disilluso, ma mi pare che il Milan di Berlusconi vincesse… perché c’erano i soldi per comprare gli olandesi prima e tanti altri campioni poi. Mi pare che Ronaldo il fenomeno venisse pagato in lire, non in buoni sentimenti e che non sia andato a giocare all’Inter perché i colori azzurro e nero erano i suoi favoriti sin da bambino. E così il Real, la Juve e via dicendo. Il professionismo è un business, e funziona in base ai soldi. Se economicamente funziona allora può andare avanti, in caso contrario no.

Non voglio passare per arido senza cuore, anche a me piacciono le storie di Davide contro Golia o delle bandiere che rimangono sempre nella stessa squadra. Ma se ci piace la narrativa e il romanticismo dello sport dobbiamo accettare che prima di tutto servono manager che tengano in piedi le strutture. Nel carrozzone mediatico dell’NBA ci sono tantissime storie romantiche, nonostante sappiano tutti benissimo che è un business. Kobe coi Lakers, Duncan con gli Spurs, Nowitzki coi Mavericks e più di recente Curry con i Warriors, LeBron che torna a Cleveland per vincere il titolo nonostante fosse la squadra più scarsa della lega… tutto questo è però possibile finchè economicamente si ha un sistema che funziona. E se il sistema non funziona ha poco senso piangere i tempi andati, mentre ha molto senso cercare di capire come modificarlo per fare in modo le squadre non falliscano e ci siano stimoli per tutti.

Se a seguito della Superlega si rischia si perde attenzione sulla serie A, che già mi pare navighi in acque burrascose da un po’, perché non modificare il campionato? Perché non istituire dei playoff, che darebbero vita a scontri per entrarvi per almeno una decina di squadre e aprendo gli stadi per partite che sarebbero davvero importanti e competitive? Per premiare i progetti a lungo termine, che qualificandosi ogni anno ai playoff vedrebbero un ritorno economico per la propria capacità di programmazione? Tutte queste domande non vengono poste all’interno di un dibattito arrugginito dalla nostalgia del tempo che fu e da una visione del professionismo come fosse stretto parente del campetto di provincia, senza accettare la realtà fattuale, bella o brutta che sia. Il campetto di provincia è magnifico, personalmente alleno anche (basket) in luoghi di provincia, ma non è lo Stamford Bridge. Quest’ultimo vive secondo principi diversi.

P.s. Nota polemica finale, ma a parlare di etica sono gli stessi che organizzano i mondiali in Qatar con buona pace dei diritti umani? Curiosità personale…

Della Superlega e di questo smottamento ne parleremo domani, alle ore 21:00 su Twitch. Cosa? Non ci segui? Ti basta cliccare proprio qui.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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