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di Samuele Franciolini

Fin dagli anni del boom, l’estetica dell’estate italiana si è prepotentemente imposta sia nell’immaginario nazionale, sia in quello internazionale. I mesi fra giugno e agosto infatti, sembrano ogni anno ripetersi uguali ormai da tempo immemorabile: le polemiche sulle ferie degli insegnanti, le consegne dei premi letterari, l’esodo degli italiani verso le spiagge raccontato ogni anno con toni apocalittici, le fantomatiche “domeniche da bollino nero”, le notti magiche della nazionale (se va bene). Tutti topos ormai entrati a far parte della memoria collettiva. La politica, fin dalla Prima Repubblica, si è spesso inserita in questo immaginario: dai politici democristiani che cercavano di restarne fuori, pensiamo a Moro in spiaggia col completo, a quelli socialisti che invece si sono lasciati coinvolgere fino alla pubblicazione, nel 1988, del libro di culto del ministro e viveur Gianni de Michelis Dove andiamo a ballare stasera?: guida a 250 discoteche italiane. Nonostante l’estate sia spesso stata considerata la stagione morta della politica: chiude il parlamento, vanno in vacanza i talk show e i giornali si dedicano alla cronaca nera, vedremo che non è sempre così è che spesso, a differenza degli italiani, la politica ha saltato le ferie agostane. Andremo quindi ad analizzare tre estati: quelle del 1963, 1992 e 2018, che contraddicono questa regola e anzi sono state dei veri e propri punti di svolta nella storia del nostro Paese.

1963: il centro sinistra “organico” e il primo governo balneare

Il ‘63 è sicuramente uno degli anni cruciali della Prima Repubblica, si apre infatti con delle elezioni che certificano un arretramento della DC, che rimane tuttavia il partito di maggioranza relativa (e lo rimarrà fino alla fine della sua vita), e si chiude con la formazione del primo governo Moro che, dopo gli anni del centrismo degasperiano e la fallimentare esperienza del governo Tambroni, con l’appoggio esterno del MSI, inaugura la stagione riformista del cosiddetto centro sinistra “” che porta al governo, per la prima volta dal 1948, il PSI di Pietro Nenni. La genesi di questo esecutivo, tuttavia, non è semplice, sia per le resistenze delle forze più reazionarie della DC, che fanno capo al neoeletto presidente della Repubblica Antonio Segni (scelto da Moro per rassicurare proprio quelle anime), sia per l’opposizione della corrente “carrista” del PSI (filo sovietica) che spingeva ancora per una politica “frontista” di collaborazione col PCI. Questa impasse viene superata dal politico pugliese con la creazione del primo governo Leone, questo è poi passato alla storia come il primo governo balneare: un governo interlocutorio, che superi la stagione estiva senza prendere importanti iniziative politiche, destinato a vivacchiare in attesa che maturino le condizioni per l’apertura di una nuova stagione politica. Leone cederà infatti il passo il 5 dicembre dello stesso anno, all’esecutivo Moro I, primo governo con ministri socialisti (con vicepresidente Nenni), la cui spinta riformatrice verrà arrestata, nel giugno successivo, dal celeberrimo tintinnar di sciabole del generale De Lorenzo e la ventilata ipotesi di colpo di stato. 

La formula proposta dal segretario della DC non è, in realtà, del tutto nuova e trova un precedente illustre nel governo Bonomi del 1921 (la cui debolezza politica fu una delle principali cause della marcia su Roma l’anno successivo e del conseguente avvento del fascismo) e venne poi ripresa in numerose occasioni. Uomo simbolo dei governi balneari della prima repubblica divenne, quindi, Mariano Rumor: politico vicentino, incarnazione della nomenklatura democristiana veneta e segretario del partito dal ‘64 al ‘69, che guidò l’esecutivo in ben due occasioni: nel ‘68 e nel ‘73. Questi governi furono spesso, tuttavia, nonostante la ragione di nascita interlocutoria, chiamati ad affrontare situazioni di emergenza nazionale, è il caso del Rumor IV che, durante l’estate del ’73, si trova a dover prendere drastiche misure contro il carovita.

La locuzione “governo balneare”, sebbene decaduta e sorpassata del punto di vista politico, rimane tuttavia fondamentale per comprendere la natura della politica di quegli anni, in cui i cambiamenti, per la rigidità delle alleanze e degli schemi di pensiero, dovevano avvenire necessariamente in modo lento e molto ponderato e per questo avevano bisogno anche di periodi di assestamento, di bonaccia, per usare una metafora marina. Questa necessità, oggi, si è persa del tutto (come vedremo meglio più avanti)  in una scena politica sempre più convulsa in cui tutto avviene repentinamente e, anzi, vi è quasi una sorta di horror vacui, una corsa al governo che maschera la mancanza di una visione a lungo termine, quella che invece possedevano i politici primo repubblicani.

1992: il Quirinale, l’attacco allo Stato, e la fine del PSI

Un’altra estate fondamentale per la storia politica italiana è quella del ‘92, e anche qui il preludio sono delle elezioni politiche  atipiche. Alle urne si arriva dopo la svolta della Bolognina, con PDS e PRC che si presentano separati, e se ne esce con  l’ingresso della Lega Nord, al tempo secessionista padana, in Parlamento; nel preludio dello scoppio di Tangentopoli e della fine dei partiti primo repubblicani. Questa breve legislatura, che finirà nel ‘94, si apre, infatti, con l’elezione del nuovo PdR per cui concorrono principalmente i democristiani Andreotti e Forlani, il primo innumerevoli volte PdCM, il secondo attuale segretario della DC, ancora partito di maggioranza relativa seppur fortemente ridimensionato dalle ultime elezioni, autori insieme al segretario socialista del cosiddetto patto del camper, e membri del CAF (dai nomi degli stipulatori del patto: Craxi, Andreotti, Forlani) che governava l’italia dall’81 nella formula del Pentapartito: DC, PSDI, PLI, PRI e PSI.  Questa è l’elezione che viene magistralmente citata da Sorrentino nel suo Divo con la famosa scena “Se c’è la candidatura dell’amico Arnaldo la mia non esiste”, a cui segue, “Se c’è la candidatura dell’amico Giulio la mia non esiste”; un siparietto che rende bene la situazione delicata e le lotte intestine da cui era attraversata la Balena Bianca. Il clima politico è reso ancora più caldo dalle indagini dei magistrati della procura di Milano che ogni giorno fanno consegnare avvisi di garanzia nelle cassette della posta dei politici del Pentapartito e dal Corriere della Sera, che pubblica giornalmente il bollettino degli indagati. 

La circospezione dei due principali candidati lascia il posto alla candidatura di Forlani al IV e V scrutinio, che si infrange di oltre 50 voti sotto la maggioranza per la mancanza del sostegno degli andreottiani. In questa incertezza generale, il pluri presidente del consiglio, campione delle preferenze, si prepara a scendere in campo. Tuttavia, questo precario equilibrio viene drammaticamente spezzato dalla Strage di Capaci (25 maggio), in cui i mafiosi corleonesi uccidono il giudice Giovanni Falcone, la compagna Francesca Morvillo, anch’essa magistrato, e la loro scorta. Il Parlamento, vedendo messa a nudo la propria inadeguatezza dal tragico accaduto, si adopera per arrivare in tempi rapidi ad un nome. Naufragata la candidatura di Andreotti, sospetto di essere vicino ad ambienti collusi con la mafia, quali la corrente DC siciliana che faceva capo all’onorevole Salvo Lima (assassinato dalla mafia nel marzo dello stesso anno), la scelta ricade sul presidente della Camera dei Deputati, democristiano di lungo corso ed ex giudice Oscar Luigi Scalfaro.

La stagione estiva, però, non è ancora iniziata e anzi giunge al culmine il 3 luglio con il celeberrimo discorso alla Camera di Bettino Craxi sul finanziamento dei partiti. Quel momento, viene da molti identificato come la cesura ideale fra Prima e Seconda repubblica. Il silenzio dei parlamentari in seguito alle accuse pronunciate dal segretario socialista (che puntava alla terza presidenza del consiglio), è la pietra tombale che viene calata sulla classe dirigente che aveva guidato il paese fin dai tempi del dopoguerra. La vita politica di Craxi raggiungerà infine il suo tristo epilogo il 30 aprile successivo con il lancio delle monetine davanti alla sua residenza romana: l’Hotel Raphael, ma le sue pesanti accuse mettono la parola fine a una stagione politica iniziata 50 anni prima, costruita sulla contrapposizione col blocco orientale, ormai priva di spinta propulsiva in un contesto internazionale drammaticamente diverso da quello che l’aveva resa necessaria. Ironia della sorte, quella sera al Raphael era presente colui che dei successivi anni sarà protagonista indiscusso: Silvio Berlusconi, amico personale e sostenitore del segretario socialista cui deve il salvataggio delle sue televisioni

2019: i fatti del Papeete e la crisi agostana

 Arriviamo infine alle estati più recenti, quelle contraddistinte principalmente dalla narrazione della destra sugli sbarchi dei migranti. Il fenomeno migratorio infatti, per sua natura, si fa più intenso nei mesi più caldi, la destra populista, specialmente la lega di Salvini negli anni dal 2015 al 2018, ha costruito molta della sua propaganda su una fantomatica “invasione” che poi -di fatto- non c’è mai stata. Ci sono stati invece i numerosi morti naufraghi nel canale di Sicilia e in Grecia dovute alle egoiste e disumane politiche migratorie portate avanti dall’UE (abolizione di Mare Nostrum) e, in Italia, anche da governi di centrosinistra.

Risulta quindi una coincidenza piuttosto ironica che il partito e il leader che più riuscirono a capitalizzare su questo fenomeno, ovvero la Lega (non più “Nord”), e il suo “Capitano” Matteo Salvini, siano rimasti vittima dell’estate italiana. Stiamo parlando, infatti, dell’agosto 2019, il governo in carica è quello “gialloverde“, che però scricchiola visibilmente dopo il trionfo leghista alle elezioni europee del 26 maggio. Il leader del primo partito nei sondaggi, che cerca di proporsi agli elettori come l’archetipo dell’italiano medio, fa anche della vacanza un atto politico: al panfilo a Gallipoli di dalemiana memoria, alla villa di Porto Rotondo e alla Costa Smeralda preferita dal caimano, alla discrezione delle vacanze romagnole del professor Prodi e alla Capalbio -oasi dell’intellighenzia radical chic- il Ministro dell’Interno oppone il chiassoso e nazionalpopolare Papeete Beach Club di Milano Marittima. È proprio infatti fra un remix dell’inno di Mameli ed un mojito che Salvini, dalla console del celebre locale rivierasco (non inserito però da De Michelis nel suo famoso libro), lancia la sua sfida al principale partner di governo. L’inevitabile rottura arriva, infatti, pochi giorni dopo: l’8 agosto, dopo aver incassato la fiducia sul decreto sicurezza bis, il leader leghista dichiara che “non c’è più una maggioranza”, chiede agli italiani di conferirgli dei meglio non specificati “pieni poteri”, ed apre ufficialmente la crisi. 

Dopo la consueta pausa ferragostana, perché anche il potere necessita di riposo, si arriva allo scontro finale in aula il 20 agosto, data che costringe i parlamentari della repubblica e i giornalisti del tg del settimo canale ad anticipare la fine delle ferie. In questa occasione il PdC Conte, fino all’anno prima sconosciuto professore di diritto civile all’Università di Firenze, emerso come ipotetico Ministro della PA nella lista presentata da Luigi Di Maio alla vigilia delle precedenti elezioni, pronuncia un discorso molto duro verso il suo Ministro dell’Interno e vicepremier, apostrofato come “Caro Matteo” in un capolavoro della passivo-aggressività, in cui rassegna le proprie dimissioni. La brama di elezioni leghista, tuttavia, non viene soddisfatta dagli altri partiti del Parlamento, si arriva infatti, dopo un incontro nella villa di Bibbona fra i componenti del partito di maggioranza relativa e il fondatore Beppe Grillo, con il benestare di Matteo Renzi (non più segretario del PD ma solo “semplice senatore di Scandicci”), alla creazione del governo Conte II, sostenuto sempre dal Movimento e dal Partito Democratico, che governerà fino alla crisi del gennaio 2021. Questa crisi estiva sarà poi succeduta da un’altra crisi estiva, quella recentissima del governo Draghi, che cadrà proprio sotto i colpi incrociati di Conte, Lega e Forza Italia nel luglio del 2022.

Dal vuoto di potere al potere vuoto

Abbiamo visto, quindi, come ai “governi balneari” si siano, oggi,  sostituite le crisi estive: questo cambiamento apparentemente casuale risulta sintomatico di uno sconvolgimento profondo avvenuto nella politica in questi anni. Sebbene, infatti, l’estate italiana continui a riproporsi nella sua afosa immobilità fatta di calippi, pedalò, e code sull’A14; gli italiani cambiano e, con essi, cambiano i governi che li rappresentano. Da una classe dirigente che si prendeva il suo tempo, riflessiva (forse troppo), ingessata, ma dotata di prospettive a lungo termine, si è passati all’attuale, certamente molto pronta a recepire la notizia del giorno, che tuttavia si serve di questa sua apparente frenesia per mascherare un mancanza di contenuti ormai evidente a tutti gli elettori. Da momentaneo vuoto di potere, che in realtà vuoto non era affatto, si arriva quindi a un potere vuoto che è solo occupazione dei luoghi in cui esso viene esercitato. Le alleanze si rimescolano, le vittime diventano carnefici e viceversa, sotto il caldo sole italiano che dall’alto osserva questo “paese di musichette mentre fuori c’è la morte” e continua a porsi, noncurante del passare del tempo la solita inesorabile domanda: “Dove andiamo a ballare stasera?”

 

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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