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di Lys Cortese e Francesco Gunelli

Il Marocco e l’Indipendenza

Per capire la situazione dell’attuale Marocco bisogna soprattutto guardare al passato.

Il Marocco moderno, così come lo percepiamo noi occidentali, nasce a seguito della Seconda Guerra Mondiale. In gran parte dell’Africa, durante i conflitti nel Vecchio Continente, vari movimenti nazionalisti, tra cui quello marocchino, hanno approfittato della debolezza dei colonizzatori per chiedere maggiore autonomia. Le resistenze delle potenze coloniali a qualsiasi forma di concessione (in particolare della Francia, de facto potenza egemone in Marocco dal 1911)  portarono a una radicalizzazione di questi movimenti.

In Marocco però, a differenza che in altri Paesi, la monarchia giocò un ruolo fondamentale nella partita per l’indipendenza. L’esilio imposto al Sultano Mohammed V nel 1953, ritenuto da Parigi responsabile dei movimenti nazionalisti, causò una vera e propria rivolta delle tribù locali, sollevazione sostenuta dalla Spagna franchista.

La Francia, già occupata dalle campagne d’Algeria e in Indocina e sotto pressione americana, fu costretta a scendere a patti con i ribelli.

Il 7 aprile 1956 venne riconosciuta la piena indipendenza del Paese.

 

Un sistema politico particolare

Alla morte nel 1961 di Mohammed V gli succedette il figlio appena trentaduenne, con il nome di Hassan II.

Forte del sostegno popolare ereditato dal padre, Ḥassan II fece adottare la nuova Costituzione, senza il consenso dei partiti politici, nella quale si definiva la figura del re come una personalità “inviolabile e sacra”, sancendone l’importanza politica oltre che spirituale, e istituendo un regime autoritario dai toni estremamente nazionalistici.

Il regno di Hassan II fu caratterizzato da forti contrasti tra Corona e popolo. Nel 1981 l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, dovuto a una decisione del monarca di adempiere a condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), portò a tumulti di piazza repressi nel sangue, tra carri armati, centinaia di morti e migliaia di feriti (i paragoni con la Rivoluzione Ungherese del 1956 si sprecano).

Solo durante la metà degli anni Novanta ci fu una distensione dei rapporti con la società civile; vi fu una vera e propria ventata di liberalizzazione, con la scarcerazione di più di 2000 prigionieri politici. Allo stesso tempo, vi fu un allontanamento dal mondo arabo in seguito all’alleanza con gli Stati Uniti e alla riapertura dei rapporti diplomatici con Israele.

Nel 1999 Mohammed VI (il corrente sovrano) successe a Hassan II, implementando una politica volta a riavvicinare la Corona al popolo. In seguito a proteste nei confronti della monarchia, ulteriori riforme costituzionali nel 2011 hanno limitato i poteri del re in favore del parlamento, rendendo il Marocco una Monarchia Costituzionale, almeno sulla carta.

Il terremoto e l’intervento dello Stato

Parliamo ora di attualità – l’8 settembre scorso, nel cuore del Marocco, una serie di forti terremoti ha scosso l’intera nazione, creando panico e distruzione in molte comunità. Questi eventi sismici hanno portato alla luce l’incredibile resilienza e solidarietà del popolo marocchino, mentre il mondo intero si è mobilitato per offrire assistenza in un momento di grande bisogno. L’epicentro delle scosse è stato localizzato nella regione di Al Hoceima, nel nord del Paese. Le scosse iniziali, con magnitudo 6.8, hanno causato danni significativi agli edifici e alle infrastrutture; 2.946 in totale le vittime, 5.674 i feriti e più di 50mila gli edifici colpiti, senza contare gli ingenti danni provocati dal sisma alla Moschea della Koutoubia (sito UNESCO). Il governo marocchino ha reagito all’emergenza mobilitando le forze di soccorso e tutte le risorse disponibili per affrontare la situazione. Le autorità locali hanno lavorato per evacuare le persone dalle aree a rischio, fornire assistenza medica e alloggio temporaneo a coloro che ne avevano bisogno. Ma la solidarietà non si è fermata ai confini del Marocco.

 

Il parallelismo con Myanmar e Venezuela

Ci sono state diverse offerte di aiuti, ma le decisioni di Rabat hanno sconvolto tutti coloro che una mano l’avrebbero data senza esitazioni. Il governo marocchino ha rifiutato l’aiuto internazionale offerto da tutti i Paesi, eccetto quattro: Spagna, Regno Unito, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Paesi che, per un motivo o per l’altro, sono ritenuti amici da parte del Marocco. Questa scelta è stata giustificata dal Ministero dell’interno di Rabat “perché la mancanza di coordinamento in tali situazioni potrebbe essere controproducente”. In ogni caso, il governo ha ribadito di non voler escludere di richiedere ulteriore assistenza da altri Paesi, se necessario: “Con l’avanzamento delle operazioni di intervento, la valutazione dei possibili bisogni potrebbe evolversi, il che consentirebbe di sfruttare le offerte di sostegno presentate da altri Paesi amici, secondo le esigenze specifiche di ogni fase”.

Questo non ha evitato però di accendere le polemiche con Paesi come la Francia e altri membri UE che, nell’immediato, si sarebbero resi disponibili a dare man forte.

Inoltre è stato rifiutato anche l’aiuto di un Paese che con il Marocco condivide 1.427 km di confine, l’Algeria; ma di tutto questo ne parleremo meglio dopo.

Questo gesto da parte del Marocco potrebbe ricordarci i blocchi umanitari messi in atto da altri Stati come per esempio il Venezuela che, nel 2019, con il governo Maduro bloccò gli aiuti umanitari per paura di far entrare armi nel Paese, considerato il sostegno statunitense per l’oppositore politico Guaidò. Un caso simile si verificò con l’ex Birmania (attuale Myanmar) che, dopo un nubifragio nel 2008, rifiutò e bloccò gli aiuti umanitari esterni nel timore di favorire l’ingresso di armi in aree con un’alta presenza di oppositori politici.

Due casi simili, quello del Venezuela e del Myanmar, che però sono da distinguere su un particolare fondamentale rispetto a quello del Marocco: il governo venezuelano e quello birmano sono dei regimi estremamente autoritari, mentre quello marocchino no.

 

Aiuti e Geopolitica

Spagna, Regno Unito, Qatar ed Emirati Arabi Uniti – a prima vista sembrerebbe una selezione casuale. Invece sono le nazioni a cui il Marocco ha concesso di inviare aiuti. Gli unici altri soccorritori che hanno potuto partecipare, a titolo puramente personale, sono stati i volontari già presenti sul posto. Abbiamo già accennato in precedenza alle giustificazioni addotte dal Ministero degli Interni marocchino.

Più probabilmente, nella decisione hanno influito considerazioni legate all’orgoglio nazionale e a fattori geopolitici.

Di solito, quando un Paese viene colpito da un disastro naturale, è sua prerogativa esclusiva chiedere aiuto. È una questione di sovranità. Il Marocco vuole essere considerato come un potere regionale nel Maghreb e in tutta l’Africa Settentrionale, un interlocutore per l’Unione Europea e un Paese in forte ascesa. L’immagine di svariate organizzazioni non governative e spedizioni internazionali che si precipitano al salvataggio dello sfortunato di turno è una realtà spesso associata a realtà del terzo mondo, troppo deboli per gestire la situazione da soli. Rabat vuole dimostrarsi in grado di pilotare le manovre di soccorso in autonomia.

I motivi dietro all’approvazione degli aiuti dal Qatar è quasi ovvia: il re Mohammed VI e l’emiro del Qatar al-Thani sono buoni amici e i due Paesi hanno eccellenti rapporti diplomatici (stesso ragionamento vale anche per gli Emirati).

Questa stessa partnership potrebbe anche spiegare il perché del “no” secco al milione di euro offerti dall’Unione Europea. Le tensioni tra Qatar, Marocco e UE rispetto allo scandalo “Qatargate” e alla questione del Sahara Occidentale sono ancora molto alte e non sembrano essere prossime a diminuire.

Sempre nell’ottica del conflitto con l’UE si può inserire la luce verde agli aiuti britannici. Un gesto simbolico, l’ennesimo, per dimostrare le divergenze nei confronti del blocco, favorendo la new exit.

Gli aiuti spagnoli si collegano al tema del Sahara Occidentale (S.O.); Pedro Sanchez infatti, nel marzo del 2022, ha definito, in una lettera indirizzata personalmente a Mohammed VI, la proposta marocchina sul S.O. come la “base più seria, realistica e credibile per risolvere la controversia”, smarcandosi nettamente dalle decisioni di tutti i precedenti esecutivi di Madrid che avevano difeso (almeno formalmente) una soluzione basata su quanto stabilito dalle risoluzioni dell’ONU e sul rispetto del diritto all’autodeterminazione della popolazione saharawi. La stessa linea, peraltro, condivisa dalla maggioranza dell’Unione Europea (Germania e Italia in primis). Il miglioramento delle relazioni bilaterali che ne è conseguito è stato enorme, e questo disastro ne è stata la conferma.

Ma cos’e’ il Sahara Occidentale?

Il Sahara Occidentale è una striscia di terra contesa che si affaccia sull’Atlantico, ubicata tra Marocco, Mauritania e Algeria.

L’interesse marocchino per la regione, oltre che strumentale a una politica di prestigio internazionale e di accrescimento territoriale, è inoltre volta al controllo di importanti giacimenti di fosfati nel nord del Sahara Occidentale.

La sua storia recente inizia nel febbraio 1976, quando la Spagna, storica colonizzatrice della regione, in seguito a una grande ondata di proteste marocchine (denominate “Marcia Verde”) abbandona  il possedimento. Il territorio viene inizialmente spartito tra Marocco e Mauritania. Allo stesso momento, con il sostegno algerino (storico nemico del Marocco), nasce anche la Repubblica Araba Democratica dei Saharawi (RADS), espressione della popolazione locale contraria a un accorpamento con i vicini. Nel 1979, a fronte di un’incapacità da parte della Mauritania di controllare il suo territorio, l’intero Sahara Occidentale passa sotto l’amministrazione marocchina, militarmente più forte e in grado di proseguire l’occupazione. Da allora la zona viene contesa tra il Marocco e il Fronte Polisario, il gruppo di ribelli della autodichiarata RADS. Un cessate il fuoco fu raggiunto nel ‘91, in cambio della promessa di referendum sullo statuto definitivo del Sahara Occidentale sotto patrocinio dell’ONU.

Tale referendum non è ancora stato celebrato. Nell’aprile 2007 l’ONU ha ribadito l’impegno a favore di una soluzione politica definitiva, che tuttavia non è stata ancora concordata. Nel frattempo, il Marocco ha costruito un vero e proprio muro (anche conosciuto come Berm) per separare le due zone e controllare il territorio, utilizzando bunker, fossati, reticolati di filo spinato e campi minati (la più lunga distesa di mine del mondo).

Osservando la mappa del riconoscimento internazionale della RADS, si può comprendere chiaramente perché sono stati accettati soltanto gli aiuti di certe nazioni.

Rosso-Supporta il progetto di autonomia proposto dal Marocco Verde-Mantiene relazioni diplomatiche o riconosce la Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi Blu-Riconosce il principio di autodeterminazione della popolazione Sahrawi, ma non riconosce la RADS o mantiene relazioni diplomatiche con essa Grigio scuro-Non riconosce più la RADS ma non si è espresso in favore del Marocco Grigio chiaro-Non ha espresso alcuna opinione o ha espresso opinioni contrastanti

Cosa ci si può aspettare per il futuro?

Qui arriva la parte più ardua, cercare un finale e una sintesi a un racconto ancora in divenire anche se è già trascorso più di un mese dall’evento in questione. Di fronte alla catastrofe del terremoto il re ha chiesto al suo popolo di andare nelle moschee a pregare. In molti però osservano come Mohammed VI sia una figura sempre meno presente (l’anno scorso, raccontano i media, avrebbe trascorso più giorni all’estero che in patria), colpevole negli ultimi anni di aver consentito a un sistema di potere corrotto di farsi largo all’ombra della monarchia.

Che sia l’inizio della fine per una monarchia “vecchio stampo” come quella marocchina?

Non c’è una conclusione al dolore per le vite spezzate da eventi disastrosi e imprevedibili come il terremoto, l’Italia lo sa bene. Non sapremo mai se con l’accettazione immediata degli aiuti internazionali dei Paesi confinanti o di altre potenze come la Francia avremmo avuto un quadro differente della vicenda. Forse in meglio o forse in peggio; quello a cui dovrebbe puntare la comunità internazionale è una collaborazione più stretta e un piano operativo già predisposto per far fronte a queste tipologie di eventi.

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