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di Nicolò Radice

 

In breve

Che cosa ha scatenato il panico nel Paese? Fino a pochi anni fa era uno dei meno assediati in Sud America dalla criminalità organizzata mentre ora è nel caos; chi sono i Choneros, e come sta rispondendo il Governo? 

In Ecuador sta succedendo quello che tutti gli analisti, negli ultimi mesi, si aspettavano che accadesse: un narco – golpe. Dopo aver usato i social come strumenti di comunicazione, il cartello della droga Choneros ha dato l’ordine ai suoi uomini di interrompere in ogni modo la vita regolare nelle città ecuadoriane: immaginatevi come.

Il risultato è che spacciatori e affiliati si sono trasformati in guerriglieri armati di mitra e bazooka, invadendo le strade e sparando indiscriminatamente a chiunque trovassero di fronte. Hanno sequestrato le persone nei luoghi pubblici per usarle come arma di ricatto contro il Governo ecuadoriano.

Sono moltissimi i video a riguardo che stanno girando in queste ore, diffusi proprio dai militanti dei narcos: una ragazzina sporca di sangue esce dalla macchina per cercare aiuto, dopo essere stata colpita al fianco; ufficiali penitenziari sono linciati e impiccati dalla folla dei carcerati fatta uscire di prigione. Il Governo ha interrotto la luce per impedire che i narcos facciano ancora uso dei social per dimostrare la loro forza e dare altri ordini.

Lo scopo della guerriglia, che l’esercito sta provando a contrastare, non è prendere il potere, ma terrorizzare la popolazione civile e provare che i cartelli della droga hanno la supremazia nel Paese per costringere il governo alla negoziazione; in particolare, quella sulla libertà di José Alfonso Maciás, capo del Cartello egemone Los Choneros.

Maciás era già scappato di prigione, facendosi sostituire da un sosia e nascondendosi molto prima che il Governo se ne rendesse conto: quanto il Presidente, Daniel Noboa, è venuto a saperlo, è stato dichiarato lo Stato di emergenza e sono state mobilitate tutte le forze armate per riuscire a trovarlo. La reazione, giudicata troppo fastidiosa, ha scatenato l’ira dei narcos che ora hanno dato l’ordine di “dare fuoco all’Ecuador”.

L’Ecuador, un piccolo paese di diciotto milioni di abitanti, era riuscito fino a poco tempo fa ad essere l’unico paese della zona a non avere cartelli egemoni e gang con sanguinarie prassi di guerriglia. La modifica degli asset strategici, tuttavia, ha modificato l’equilibrio della regione, facendo de Los Choneros, da un gruppo di dieci persone a un esercito di diecimila affiliati, con oltre mezzo milione di persone che lavorano per loro.

Più nello specifico, ha pesato molto la fine dei Cartelli della droga colombiani: essendosi frammentati, non hanno il controllo assoluto sulle coltivazioni di cocaina e sul loro stoccaggio. Tutti allora hanno cominciato a coltivare e stoccare laddove hanno potuto. Anche la fine delle FARC in Colombia rappresenta un aspetto a cui guardare: quest’ultime si reggevano sulla produzione di droga e cacao; terminato il controllo sulla coca, essa può essere trasportata e coltivata ovunque.

Infine i cartelli messicani hanno deciso di incrementare la produzione nelle coltivazioni colombiane e peruviane: dove viene stoccata e raffinata la coca? In Ecuador.

Il Paese è perfetto, anche perché il costo di invio della cocaina dai porti venezuelani a quelli europei e mediorientali si è alzato, e conviene spostare tutto quanto in luoghi più economici.

Choneros hanno quindi costruito un consenso immenso controllando la povertà e assicurandosi i pieni poteri nelle zone da loro gestite (il paese intero). Si parla di una vera e propria organizzazione, prima azienda nel Paese, che si infiltra nelle istituzioni, decide i sindaci, fa cambi di ministri e generali militari, uccidendo le figure che si frappongono tra loro e gli obiettivi che intendono raggiungere: uccidendo i candidati alle elezioni presidenziali di fronte alle telecamere dimostrano quanto essi siano potenti.

Il Governo, che consideravano alleato e ora un traditore, ha dichiarato nuovamente lo Stato di emergenza, cercando l’appoggio delle opposizioni e garantendo a tutte le forze di esercito e polizia l’amnistia e l’impunità mentre cercano di contrastare le violenze. Tutti coloro che fanno parte di queste forze potranno sparare a chiunque senza ricevere ordini o doverne rispondere. La strategia di Noboa, però, è destinata a fallire, portando a un aumento delle violenze e finendo per costringere le istituzioni a negoziare davvero con i narcos.

L’Ecuador rischia di essere come il Venezuela: uno Stato fallito, dove le forze democratiche non sono in grado di dettare legge e il vero controllo è in mano ai cartelli della droga. Nel momento in cui sarà chiaro a tutti che il Governo non è capace di mettere mano alla situazione, arrivando a trattare con dei criminali (apertamente o meno sarà da vedere), anche questo paese non avrà retto al potere della droga, e di chi la controlla.

In parte, però, siamo colpevoli anche noi: la violenza è frutto della droga di cui il mondo occidentale ha sempre più fame. La marijuana che ci fumiamo nei nostri parchi e nei comodi salotti di casa nostra, viene anche dal Sud America; le tonnellate di eroina, di coca e di antidolorifici come il fentanyl sono prodotte proprio qua, ed è il mondo, che ora si indigna, a volerle e richiederle.

Il punto non è se sia lecito o meno fare uso di queste sostanze, ma quello che significa in altre parti del mondo: il potere che si dà a chi ci fornisce. Se tutto ciò accade in zone lontane migliaia di chilometri dai Paesi occidentali, ovviamente, la cosa è meno sentita. Tuttavia, la droga prodotta in quelle regioni è pur sempre venduta da qualche parte e i narcos a guadagnarci non sono quelli delle nostre serie tv preferite.


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