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Rinsaldata la NATO, la Cina diventa un pericolo per i partner europei e con Putin il dialogo si riapre (per ora)

di Diego Canaletti

Si è concluso ieri il primo viaggio internazionale di Joe Biden, arrivato a quasi sei mesi dall’insediamento. L’agenda del Presidente è stata piuttosto fitta e ricca di incontri: giovedì 10 il bilaterale con il Premier Johnson, la tre giorni con il G7, l’incontro con i leader dei Paesi aderenti alla NATO, con l’Unione Europea, il governo belga e infine il bilaterale con Vladimir Putin, a Ginevra.

Dal punto di vista statunitense, gli incontri con gli alleati si sono rivelati un successo. Biden ha infatti riaffermato la special relationship con il Regno Unito, è riuscito ad inserire le proprie priorità all’interno del comunicato finale del G7, ha riaffermato e rinnovato l’impegno dell’Alleanza Atlantica e infine è riuscito a risolvere uno degli aspetti della guerra commerciale tra l’Unione Europea e Washington, ponendo fine alla disputa che si trascinava da ormai 17 anni attorno a Boeing e Airbus.

Biden ha portato avanti quello che aveva promesso sin dalla campagna elettorale: ricostruire i rapporti con gli alleati dopo gli anni di Trump. Un compito non facile vista la nuova diffidenza da parte europea. “America is back” è solito affermare il Presidente con riferimento alla postura diplomatica del Paese, ma la domanda che molti tra i commentatori e i politici europei si pongono “va bene, ma per quanto?”. Nel frattempo, però, i leader europei hanno preso come una boccata d’aria fresca la nuova fase della diplomazia statunitense.

Una fase incentrata sul dare nuova linfa all’ordine internazionale liberale. In ogni comunicato, gli Stati Uniti con gli altri Paesi hanno voluto sottolineare i valori comuni democratici, la necessità di rispettare i diritti umani, l’importanza del diritto con le sue obbligazioni, della cooperazione e delle istituzioni internazionali.

Ma l’obiettivo, oltre a ricostruire una postura internazionale statunitense credibile e affidabile per gli alleati, è stata anche l’occasione per rilanciare le priorità dell’attuale Amministrazione, tra cui si trovano il cambiamento climatico, portando l’Alleanza Atlantica all’interno degli sforzi per ridurre i gas serra. Ma si è parlato soprattutto di Russia e moltissimo di Cina.

 

“CHINA!”

“CHINA!” twittò Donald Trump nella primavera dello scorso anno, e si può dire come l’assertività statunitense nei confronti di Pechino sia ancora alta. Molteplici i riferimenti alla Cina, espliciti e impliciti. Ci si è riferiti alla Cina quando nella rinnovata Carta Atlantica tra Washington e Londra si è fatto riferimento a mantenere la libertà di navigazione, la dignità del lavoro e contro lo sfruttamento, si è pensato alla Cina quando il communiqué del G7 si chiede di riformare l’Organizzazione Mondiale del Commercio. E la si è nominata esplicitamente quando i Sette Paesi affermano: “Con riferimento alla Cina e la competizione nell’economia globale, continueremo a consultarci per un approccio condiviso che sfidi le politiche anti-mercato e le pratiche che minino alle operazioni giuste e trasparenti”. I Paesi del G7 si impegnano a lavorare con Pechino in aree di mutuo interesse come la difesa della biodiversità e del cambiamento climatico “ma allo stesso tempo promuoveremo i nostri valori, chiedendo alla Cina il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, specialmente in relazione allo Xinjiang e gli stessi diritti e libertà per l’autonomia di Hong Kong, espressi nella Dichiarazione Congiunta Sino-Britannica e nella Basic Law”. E ancora, “Reiteriamo l’importanza di mantenere l’oceano Indiano-Pacifico aperto e libero, inclusivo e basato sullo stato di diritto. Sottolineiamo l’importanza della stabilità nello Stretto di Taiwan,” “Rimaniamo seriamente preoccupati per la situazione nel Mar Cinese Meridionale e Orientale e ci opponiamo fermamente ad ogni tentativo unilaterale di cambiare lo status quo e di incrementare le tensioni”.

La reazione di Pechino a tal proposito non si è fatta attendere e per due giorni di fila ha emanato due comunicati durissimi. “I giorni in cui le decisioni globali venivano assunte da un piccolo gruppo di Paesi sono terminati da un pezzo. Crediamo che i Paesi, grandi o piccoli, forti o deboli, poveri o ricchi siano uguali e che gli affari mondiali debbano essere gestiti tramite consultazioni con tutti” ma ancora più dura la reazione al comunicato finale: “Non bisogna interferire negli affari interni cinesi, la reputazione cinese non dev’essere rovinata e gli interessi cinesi non devono essere violati”, affermando che il comunicato del G7 è frutto delle “sinistre intenzioni” di pochi Paesi come gli Stati Uniti.

Osservando la dichiarazione del G7 e la politica interna statunitense, è possibile poi cogliere come il contenimento cinese passi anche per una maggior competizione economica. Il G7 si impegna a migliorare la resilienza delle catene di approvvigionamento globale, in particolare per quanto riguarda le materie prime. È interessante notare come dal punto di vista statunitense questo sia un chiaro riferimento alla Cina: proprio poche settimane fa, il Senato ha approvato una legge per migliorare la competizione nei confronti di Pechino su questi aspetti, investendo centinaia di miliardi nella ricerca e nella produzione domestica dei semi conduttori nella speranza di poter tornare competitivi in un settore che negli ultimi anni ha visto Washington perdere diverse posizioni.

Gli Stati Uniti portano il problema cinese all’interno della NATO. L’inserimento del Paese è curioso in quanto il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha dichiarato: “NATO è l’Organizzazione Atlantico del Nord, la Cina non ha niente a che vedere con il l’Atlantico del Nord”. Lo stesso Boris Johnson e Angela Merkel hanno provato a smarcarsi, eppure di Cina si parla anche nel comunicato finale dell’Alleanza Atlantica in termini durissimi. Il Paese viene sostanzialmente definito come un pericolo, a causa delle sue ambizioni, del comportamento assertivo, dalla fusione del proprio comparto militare con quello civile e per il potenziamento della propria forza militare, compreso l’arricchimento del proprio arsenale nucleare.

Delimitate le aree di collaborazione: cambiamento climatico e protezione della biodiversità. Come direbbe Frank Underwood: “Strigi la mano con la destra, ma tieni una pietra nella sinistra”. Tra queste aree, non figura l’indagine sulle vere origini del coronavirus, implicando la volontà di non fidarsi più delle assicurazioni che Pechino aveva fornito sin dall’inizio dell’epidemia nella città di Wuhan. A tal proposito, Biden ha chiesto alla propria intelligence di raddoppiare gli sforzi per i prossimi tre mesi e comprendere un eventuale ruolo del Laboratorio di Virologia di Wuhan nella nascita del virus.

 

Russia

La Russia è il secondo grande Paese coinvolto. Riferimenti alla Russia sono presenti implicitamente o esplicitamente in tutti i comunicati finali: Carta Atlantica, G7, NATO, UE. La Russia viene ritenuta l’attore al centro delle campagne di disinformazione e di interferenza delle elezioni e che deve intraprendere cambiare il proprio comportamento al riguardo di determinate tematiche. Si legge nel communqué del G7: “Chiediamo alla Russia di indagare con urgenza e fornire spiegazioni credibili sull’uso di armi chimiche sul proprio suolo e di terminare la repressione sistematica della società civile indipendente e dei media e di rendere responsabili coloro che all’interno dei suoi confini compiono attacchi cibernetici”, altra priorità statunitense, dopo che società legate a Mosca hanno compiuto due attacchi cibernetici importanti contro le agenzie federali statunitensi (dicembre 2020) e contro la più grossa pipeline degli Stati Uniti causando scarsità di benzina in tutta la Costa Est. Nei confronti dell’Ucraina, la Russia è considerata “parte del conflitto” e non mediatore.

Anche la NATO ha delle richieste: rispettare il diritto internazionale e le obbligazioni da esso derivanti, rispettare la sovranità dei confini dei Paesi NATO e l’interrompere il rafforzamento della propria forza militare in quelle regioni, smetterla di adoperare la propria retorica nucleare come leva negoziale nei Paesi membri dell’Alleanza, il ritiro delle truppe dall’Ucraina, Moldavia e Georgia allocate senza il consenso dei Paesi coinvolti.

I meeting di G7 e NATO sono stati propedeutici all’incontro di martedì tra Biden e Putin. Non essendoci state particolari differenze nei comunicati stampa è stato un segnale importante per il Presidente russo che si è trovato a trattare con un occidente rafforzato. E se i segnali vanno cercati, bisogna osservare le piccole cose: a Ginevra, Putin è arrivato puntuale. Il leader russo è solito arrivare in ritardo per dimostrare la propria forza nei contesti internazionali. Trump, ad esempio, dovette aspettare un’ora ad Helsinki, nel 2018 e lo stesso Obama fu oggetto di un trattamento del tutto simile. La puntualità di Putin in questo caso è stato indice di un rispetto che provava verso Biden, ribadito anche nella conferenza stampa. Biden è stato descritto come un “uomo di Stato”, con “esperienza”, “bilanciato” e “molto differente dal suo predecessore”. L’incontro bilaterale è durato circa tre ore, molto meno di quanto prospettato inizialmente. Secondo Biden, la decisione di terminare l’incontro è stata dettata dalla mancanza di altri argomenti di cui discutere, poiché entrambi i Paesi si erano detti disponibili ad aprire delle negoziazioni su una serie di aspetti.

I due Paesi hanno concordato sulla necessità di far tornare i propri ambasciatori nelle rispettive ambasciate, nel liberare i prigionieri statunitensi rinchiusi in Russia e nell’avviare un dialogo bilaterale sulle armi nucleari – unico punto su cui si è soffermato lo stringato comunicato congiunto rilasciato dopo il meeting –. Non vi sono state minacce o ultimatum di alcun tipo, hanno confermato entrambi i leader nelle rispettive conferenze stampa, ma Biden ha fatto capire che gli Stati Uniti intendono usare le proprie infrastrutture cibernetiche contro la Russia se gli attacchi contro Washington non dovessero cessare.

Il colloquio è stato “molto costruttivo” e per “nulla ostile” ha detto Putin. Il Presidente russo ha poi negato l’eventualità che la politica estera russa sia basata sull’imprevedibilità, affermando che sono gli Stati Uniti a ridurre la stabilità del sistema internazionale ritirandosi da una serie di trattati militari, come quello sui missili ABM o su Open Skies. “Ci sarà stabilità solamente quando raggiungeremo un accordo su una serie di questioni. E oggi ho avuto l’impressione che questo sia disponibile”. Infine, un esempio di benaltrismo di cui Putin si è reso ormai celebre: incalzato da una giornalista americana che gli chiedeva come mai tutti i suoi oppositori morissero o venissero avvelenati e se questo fosse indice di paura del giusto confronto politico, il Presidente ha replicato che 400 persone che si sono recate al Campidoglio sono state arrestate e sono attualmente detenute, senza alcuna ragione. Ad un’altra domanda sui diritti umani, Putin ha ricordato la violazione dei diritti umani dell’esercito statunitense in Iraq, le morti collaterali di civili in Afghanistan, Guantánamo e le “prigioni segrete in giro per il mondo”. “Comparazione ridicola” ha fatto sapere Biden: le persone che sono andate al Campidoglio e hanno ucciso uomini della polizia non possono essere paragonate a persone che vogliono semplicemente avere la libertà di poter dire “A, B, C, D”.

 

Conclusioni

In conclusione, si può affermare che il primo viaggio all’estero di Biden abbia raggiunto tutti gli scopi che si era prefissato. La lotta al cambiamento climatico è una priorità occidentale e che va affrontato a livello globale. La NATO ne è uscita rafforzata così come il rapporto con l’Unione Europea e i Paesi del G7, lo dimostrano i comunicati finali, quasi sovrapponibili.

Dopo il fallito tentativo del 2018, la Cina entra a far parte delle priorità con cui gli alleati devono confrontarsi e la Russia si è trovata davanti un’alleanza euro-atlantica solida, sicura, compatta e unita, con cui non può che dialogare in modo serio ed efficace rispetto a quanto fatto nei quattro anni precedenti, quando la diffidenza dell’Amministrazione Trump aveva costituito una sostanziale vittoria per la Russia di Putin. La lezione che gli Stati Uniti dovrebbero apprendere è che se si trattano bene i Paesi alleati poi questi convergono sulle proprie posizioni. Se questo fosse stato fatto nel 2017-2018, forse anche la postura nei confronti dell’Iran sarebbe stata meno incline al trattato sul suo nucleare e più assertiva, ma queste sono solo le speranze di chi sta scrivendo.

Come ha detto Biden alla fine della conferenza stampa, ora bisogna vedere se tutte le proposte fatte verranno applicate e questo vale tanto per la Russia quanto per gli Alleati. Un primo segnale arriva però già dall’Italia: al termine del G7, il Presidente del Consiglio Draghi ha annunciato che il suo governo sospenderà e rivedrà il memorandum di intenti firmato con Pechino dal Governo Conte I che fece entrare l’Italia all’interno della Via della Seta. Un segnale all’alleato atlantico e a Pechino.

E Washington non può far altro che festeggiare.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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