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di Michelangelo Colombo e Lys Cortese

Un paese – chiave

 

Pur essendo poco conosciuto, il Sudan è uno dei paesi strategicamente più importanti del continente africano: come potete vedere dalla mappa qui sopra, infatti, quest’ultimo non solo si affaccia sul Mar Rosso, vale a dire sulle rotte che collegano Asia ed Europa, ma si trova anche sul tracciato del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro, fondamentali sia per la produzione agricola dell’area sia per il rifornimento idrico di un importante vicino: l’Egitto.

Un breve excursus storico

 

Dopo l’indipendenza nel 1956, il paese viene sconvolto dalla guerra civile, scoppiata a causa dei contrasti tra le forze governative e quelle meridionali: le prime avevano scritto una costituzione che riconosceva l’Islam e l’arabo come religione e lingua ufficiali, mentre i secondi, a maggioranza cristiana, rivendicavano maggiore autonomia. Quest’ultima viene interrotta nel 1972, con accordi che garantiscono maggiore indipendenza ai territori meridionali del paese.

Il nuovo presidente Ja’far al-Nimeiry, quindi, ne approfitta per avviare una nuova politica estera nei confronti dell’Occidente, migliorando le relazioni con gli Stati Uniti durante la presidenza Reagan. Il Sudan diviene così il secondo maggior destinatario degli aiuti americani all’Africa ma, per via del mancato rispetto degli accordi di pace, la guerra civile riprende nel 1983.

Il paese, allora, viene dilaniato da sei anni di scontri interni, fino a quando, nel 1989, il generale Omar al-Bashir organizza un colpo di Stato, mettendo al bando ogni partito politico, censurando la stampa e sciogliendo il Parlamento. Instaura, dunque, uno stato fondamentalista islamico nel nord del paese, introducendo la Shari’a e un nuovo codice penale. Il dittatore sudanese svolge un importante ruolo nello scacchiere internazionale sostenendo l’Iraq nell’invasione del Kuwait, fornendo assistenza ai gruppi terroristici islamici e permettendo ad Osama Bin Laden di risiedere a Khartoum, ma viene inserito dagli Stati Uniti nella lista dei paesi sponsor del terrorismo.

Al-Bashir viene eletto Presidente nelle elezioni del 1996, per poi venire confermato da tutte le elezioni successive, fino al 2015. Quattro anni dopo, scoppiano le proteste contro l’aumento del caro vita e della crisi economica, arrivando, nel corso di poche settimane,  a chiedere le dimissioni del presidente.

Nell’aprile del 2019, allora, l’esercito sudanese organizza un colpo di stato deponendo Al-Bashir e introducendo un governo militare di transizione presieduto da Abdel Fattah Abdelrahman Burhan. Nel suo primo discorso alla nazione, Burhan sostiene  il rilascio di tutti i prigionieri incarcerati in base alle leggi precedentemente promulgate da Bashir.

Le proteste, però, non si fermano, chiedendo che il governo del paese sia affidato a un civile e non a un militare: nell’agosto del 2019, l’alleanza per la Libertà e il Cambiamento (comprendente le varie opposizioni) e il Consiglio militare di transizione firmano un accordo di condivisione del potere. Il nuovo Consiglio Sovrano del Sudan comprende sia civili sia generali che condurranno alle elezioni e al governo completamente civile. Secondo l’accordo, alla guida del consiglio si sarebbero alternati prima un militare per 21 mesi e poi un civile per 18 mesi. L’intesa viene firmata da Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo, numero due della giunta militare e Ahmed Al-Rabie, rappresentante delle Forze per la libertà e il cambiamento, alla presenza di diversi capi di stato, premier e dignitari stranieri.

Viene dunque nominato come nuovo Primo ministro l’economista ed ex funzionario delle Nazioni Unite Abdalla Hamdok. Nel 2020 il governo sudanese abolisce  la pena di morte per omosessualità, per apostasia, le mutilazioni genitali femminili, la fustigazione pubblica, il divieto di consumo di alcool e l’obbligo del velo per le donne, dando così inizio a una nuova fase democratica del paese.

All’avvicinarsi della data di transizione, infine, l’esercito guidato da Burhan ordisce un nuovo colpo di stato interrompendo la transizione, poi ripresa e nuovamente interrotta in seguito alle forti tensioni di marzo 2023, vedendo il paese subire un nuovo tentativo di colpo di Stato e l’inizio di conflitti armati fra le diverse fazioni componenti il regime militare.

Quale ruolo internazionale per Khartoum? 

 

Per comprendere quale sia il ruolo che il Sudan gioca nello scacchiere politico internazionale, dobbiamo, prima di tutto, dare un’occhiata al suo vicinato: ci concentreremo, seppur brevemente, su Egitto, Etiopia e Sud Sudan, che risultano essere i paesi più interessati dalla guerra civile in corso nel paese, assieme ad altri stati come la Turchia e l’Arabia Saudita o super potenze come Cina, Russia e USA.

Cominciamo con l’Egitto: dal punto di vista storico e culturale quest’ultimo e il Sudan sono praticamente cugini, ma  a causa del territorio conteso nel Triangolo di Hala’ib è intuibile che non ci sia un rapporto amichevole.

In seguito, c’è l’Etiopia, la quale ha anche lei un rapporto contrastante con il Sudan dopo la costruzione della Grand Ethiopian Renaissance Dam: diga dalle notevoli dimensioni che permetterebbe all’Etiopia di regolare i flussi d’acqua del Nilo azzurro.

Infine, non possiamo non parlare del Sud Sudan, che fino al 2011 era un tutt’uno con il paese e che presenta differenze territoriali e religiose già dall’anno di fondazione del Sudan “unito”.

Due altri importanti paesi che hanno a che fare con il Sudan sono Turchia e Arabia Saudita: la prima, assieme agli Emirati Arabi Uniti, ci ha infatti ripristinato i rapporti dopo l’invio di aiuti militari in Yemen, mentre la Turchia necessita di buoni rapporti per consolidare la sua area d’influenza e superare la barriera dell’Egitto, con il quale ha aspri rapporti su diversi fronti.

Il suo scopo principale è quello di costruire una rete terrestre di paesi che dal Mediterraneo giunga all’Oceano Indiano, partendo da Nord con la Libia fino in Somalia. Nel 2018 durante il suo Tour dell’Africa, il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva firmato una dozzina di accordi per incrementare i rapporti commerciali tra i due paesi, ma con il il golpe del 2019 e la destituzione di Omar al-Bashir una serie di accordi sono saltati, tra cui anche la concessione dell’isola di Suakin.

Ma ora passiamo ai 3 grandi elefanti della storia: la Repubblica popolare di Cina, gli USA e la Federazione Russa.

La Cina ha un forte bisogno di imporsi a livello economico sul continente africano, costruendo una rete di infrastrutture, sia informatiche che commerciali, per collegare le varie aree d’interesse con ponti, strade e siti di estrazione mineraria, sviluppando il mercato interno e garantendosi una posizione privilegiata per il commercio. Lo fa notare l’incremento del 46% sulle importazioni dall’Africa rispetto all’anno scorso e il desiderio cinese di avere un controllo sull’area stabilendo basi militari come a Gibuti e Guinea Equatoriale.

Gli Stati Uniti, dopo la caduta di Al-Bashir, sono stati riavvicinati dal governo guidato da Abdel Fattah,  che nel 2020 ha tolto gli States dalla lista nera riguardo la libertà internazionale di religione; da parte americana, invece, nello stesso anno si ha rimosso il Sudan dalla lista dei paesi sponsor del terrorismo. Gli USA vogliono mantenere un equilibrio nell’area del Sahel e si stanno impegnando tramite fondi di assistenza umanitaria, senza aver però aumentato i rapporti commerciali dal 2011.

Abbiamo, infine, la Russia che, oltre a controllare una serie di società minerarie attive in territorio sudanese, detiene buoni rapporti con entrambe le fazioni coinvolte negli scontri di questi giorni.

Redazione GD

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