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I morti sono preda dei vivi

Diceva Jean-Paul Sartre che i morti sono preda dei vivi. Il concetto è, di per sé, estremamente semplice: chi resta è titolato a guardare, giudicare e decidere di chi se ne va. È in questo spirito che si afferma la necessità di andare al di là delle ironie e dei moralismi per svolgere un’analisi del ruolo che la figura di Silvio Berlusconi ha ricoperto per questo paese, interrogandosi sulla storia degli effetti del berlusconismo. 

Di primo acchito, si può provare una forte reazione urticante all’idea di associare la morte di Berlusconi con “il tramonto di un’epoca”, “la chiusura di una pagina della storia italiana” o “la fine di un pezzo di storia”. Per evadere dalla situazione, è molto facile -nonchè molto usuale- rintanarsi in veloci giudizi viziati di morale istantanea che liquidano rapidamente la figura sotto le etichette avverse di “eroe” o di “porco”, di “genio” o di “criminale”. Di contro a questa insufficienza analitica sta l’appello all’indagine, alla totalità e alla valutazione ponderata: solo comprendendo è possibile giudicare. 

Per questa ragione è necessario immettersi nell’immensa valanga di analisi che si producono in questi giorni, non solo a livello giornalistico ma anche social mediatico, ed offrire una lettura che restituisca un taglio di realtà singolare capace di essere significativo per le richieste di un dato gruppo sociale. Nel nostro caso, l’esame non può che essere volto a rispondere ad una semplice domanda: qual è l’impatto sulla nostra generazione dell’eredità politica di Berlusconi? 


Berlusconi, un padre del populismo?

di Manuele Oliveri

Il termine “populismo” è entrato nell’uso corrente della nostra politica introno al 2014, quando alle elezioni europee hanno iniziato ad affermarsi quei movimenti che oggi conosciamo bene come l’allora Front National in Francia, lo UKIP nel Regno Unito, o anche Donald Trump negli USA.

Detto ciò, sarebbe così sbagliato considerare Berlusconi una sorta di apripista per questi movimenti? Come tutte le cose in politica, sì e no. La storia politica della Prima Repubblica è ricca di intrighi, cospirazioni e trame oscure, ma di certo non ha offerto grandi spazi a movimenti diversi da quelli istituzionali: se il campo era ben diviso tra partiti di governo e forze di opposizione, nessun movimento realmente antisistema si è mai affermato in modo importante alle urne fino al 1992. Col passaggio alla Seconda Repubblica questa stabilità è però scomparsa dai radar, e i movimenti politici sono diventati molto più variegati e meno stabili. Proprio in quest’ottica, Forza Italia nasce nel 1993 con lo scopo dichiarato di ribaltare l’ordine che fino a quel punto aveva dominato nel paese, portando al governo forze fresche, provenienti dalla società civile contrapponendosi ai politici di professione, dando vita a un “centrodestra liberale” che fino ad allora era stato qualcosa di mai visto nel nostro paese. 

Questa vocazione all’antipolitica, alla comunicazione diretta, senza mediazione, tra il leader e gli elettori, e questa promessa di novità sarebbero negli anni diventate un tratto caratteristico dei populismi europei e non solo. Non possiamo poi dimenticare l’alleanza di Forza Italia con movimenti come Alleanza Nazionale (progenitore di Fratelli d’Italia) e la Lega Nord, legittimate dalla discesa in campo di Berlusconi come possibili forze di governo, quando la discendenza dal fascismo della prima e le idee secessioniste della seconda le avevano fino ad allora tenute lontane dall’amministrazione del paese.

Dopo pochi mesi di governo nella sua prima esperienza, e cinque anni di opposizione a partire dal 1996, è alle elezioni politiche del 2001 che nasce il berlusconismo che conosciamo oggi: il Contratto con gli Italiani, firmato a pochi giorni dall’apertura dei seggi, col quale il Cavaliere prometteva di non ricandidarsi alle successive politiche se non fossero stati raggiunti almeno 4 dei suoi 5 obiettivi chiave (quante di queste promesse siano effettivamente state realizzate è peraltro oggetto di dibattito). Delle elezioni 2006 si ricorda la bomba dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa, lanciata al termine di uno dei due dibattiti con Romano Prodi. Fino ad arrivare a tempi più recenti, col Governo Berlusconi IV, la lotta all’immigrazione clandestina e alla “grande finanza” e all’Europa durante la crisi del debito sovrano. 

In questa breve carrellata abbiamo visto alcuni dei caratteri che Berlusconi ha in comune con la destra populista di oggi, non a caso sua alleata nella coalizione di centro-destra. Allo stesso tempo, tuttavia, Forza Italia ha sempre cercato di presentarsi come una forza istituzionale, promotrice dell’ordine, contrapposta prima alla “paura comunista”, e, negli ultimi anni, anche alla destra estrema. Forza Italia ha sempre voluto incarnare un partito “diverso” da quelli tradizionali, senza però essere dichiaratamente anti-sistema, avendo peraltro occupato posizioni di governo molto a lungo. Forza Italia non ha mai guardato alle periferie e ai luoghi di malcontento come fucine di voti, rivolgendosi invece, specie nei suoi momenti di maggior successo, ai ceti imprenditoriali e di liberi professionisti, generalmente ceti agiati e quindi poco interessati a messaggi contro il sistema. In breve, si può dire che Berlusconi e il berlusconismo abbiano, prima di altri, sfruttato soprattutto il metodo populista, quello che punta a comunicare direttamente con l’elettorato in maniera semplice, spesso approssimativa o banale. Tuttavia i contenuti delle politiche di Forza Italia si sono spesso rivolti invece alla tutela dell’ordine esistente, un conservatorismo più simile alle tradizioni europee che ai movimenti di estrema destra che vediamo fiorire oggi.


Berlusconi e il disastro del debito pubblico

 

di Gabriele Foi

Durante l’era di Silvio Berlusconi, che ha compreso diversi periodi di governo tra il 1994 e il 2011, il debito pubblico italiano ha subito importanti cambiamenti, continuando a crescere in modo significativo. All’inizio del mandato di Berlusconi nel 1994, il debito pubblico italiano si trovava su una traiettoria di crescita costante. È importante considerare che il debito pubblico è un problema strutturale che affligge il paese da decenni. Durante gli anni ’90, l’Italia ha affrontato sfide economiche significative, compresa la recessione economica e l’aumento dei tassi di interesse. Durante il mandato di Berlusconi, l’Italia ha continuato ad affrontare difficoltà economiche e finanziarie, le politiche espansive e le decisioni di spesa implementate dal Governo Berlusconi hanno avuto un impatto importante sul bilancio dello Stato. 

Il primo governo Berlusconi è stato caratterizzato da una politica espansiva, sono state adottate diverse misure di spesa al fine di stimolare l’economia. Tra le prime misure attuate, molto popolari tra gli elettori, ci furono una serie di tagli fiscali, tra cui la riduzione dell’aliquota fiscale sulle società e sull’imposta sul reddito personale. Fin dal primo mandato, Berlusconi ha avviato progetti infrastrutturali, con la costruzione di grandi opere pubbliche: nuove autostrade, ponti e infrastrutture portuali. Anche la riforma del mercato del lavoro, nel ‘94, che ha introdotto contratti a termine più flessibili, ha contribuito alla precarizzazione del lavoro e alla mancanza di protezioni per i lavoratori aumentando quindi l’instabilità occupazionale. 

Le politiche si rivelarono fallimentari e portarono alla caduta del governo con un aumento stimato di 200 miliardi di euro del Debito Pubblico Italiano. Nei governi successivi (Berlusconi II-Berlusconi III) sono state effettuate ulteriori manovre economiche: in primo luogo è stata introdotta una riforma delle pensioni (nota come Riforma Maroni) che ha aumentato l’età pensionabile e introdotto requisiti più rigorosi per l’accesso alla pensione. Questa riforma è stata fortemente criticata per l’impatto sulle persone anziane e per il fatto che ha creato ulteriori difficoltà nel sistema pensionistico italiano. 

In seguito, con la riforma fiscale Berlusconi ha proseguito gli intenti dei suoi precedenti mandati, modificando ulteriormente le aliquote fiscali a favore delle fasce benestanti a scapito dei ceti medi e bassi. Queste riforme hanno aumentato così le disuguaglianze economiche. Alla fine del due mandati, nel 2006, il debito pubblico arrivò a 300 miliardi di euro (circa). Solamente nel 2007, con il governo Prodi II guidato dal PD, si è visto un calo del debito pubblico passando dal 125% al 106%; sfortunatamente il governo di Prodi non durerà abbastanza per stabilizzare il debito pubblico. L’avvento del governo Berlusconi IV coincide con lo scoppio della grande crisi finanziaria globale del 2008, ampiamente considerata una delle crisi più gravi dalla Grande Depressione degli anni ‘30.

Questa situazione proietta l’ultimo mandato di Berlusconi in una posizione alquanto difficile, infatti, nonostante tutti i governi dell’Europa occidentale riuscirono a tamponare la crisi, in Italia le riforme non furono sufficienti. Durante il quarto mandato, il governo ha attuato diverse riforme nel tentativo di diminuire il debito del paese: è stata introdotta un’ulteriore riforma delle pensioni ed è stata, di pari passo, promossa la liberalizzazione dell’economia italiana, riducendo le restrizioni e la burocrazia per le imprese. Il Governo, per mantenere i consensi, è ricaduto negli stessi errori dei mandati precedenti, intervenendo ulteriormente sulle aliquote favorendo alcune categorie già salde, abolendo la tassa di proprietà (IMU) e puntando l’attenzione sulle grandi opere pubbliche.

Durante l’ultimo governo Berlusconi, è  stato infatti anche presentato il primo vero e proprio progetto di un ponte sullo Stretto di Messina. Con l’allargarsi vertiginoso del debito, sotto pressione dell’Europa, sono state poi adottate misure di austerità e riduzione della spesa pubblica, che hanno coinvolto settori come la sanità, la pubblica amministrazione e le sovvenzioni statali. Le manovre di austerità contro la crisi ottennero un ’effetto contrario, andando a colpire i settori più deboli della società. In tre anni di governo, Palazzo Chigi ha varato manovre per oltre 250 miliardi. Ma non è bastato: la fiducia degli investitori nel Paese è precipitata e, nell’estate del 2011 (l’estate dello spread), la BCE ha inviato a Roma la famosa lettera con l’elenco delle misure urgenti da attuare subito per evitare la bancarotta. Il Cavaliere è rimasto in sella fino all’autunno, poi – a novembre 2011 – ha ceduto il testimone a Mario Monti. Qui si aprirà un’altra fase dell’economia italiana, comunque caratterizzata da grandi difficoltà, oramai entrata nella storia. 


Berlusconi ha modernizzato il Paese?

di Elsa Piano

Tante sono le tesi, c’è chi sostiene che le sue politiche economiche abbiano stimolato lo sviluppo dell’economia nazionale, e chi lo accusa di riforme volte a favorire le grandi imprese e a peggiorare ancora di più le condizioni precarie dei lavoratori; ma andiamo per ordine.

L’ex premier, con la riforma Biagi del 2003, ha introdotto misure per semplificare le procedure di licenziamento rendendo in primis più flessibili le modalità di assunzioni dei dipendenti. Tali misure comportarono proteste sindacali poiché si tratta di una legge incompiuta che ha penalizzato i giovani lavoratori, riducendo ancora di più la possibilità di un futuro certo; la sostituzione del contratto di formazione e lavoro con il contratto co.co.pro (abbreviazione di contratto a progetto) ha favorito una situazione precaria del lavoratore, non essendo in esso previsto un percorso professionale che porti ad un’assunzione a tempo determinato o indeterminato

E qui non possiamo che citare il tema pensioni ripreso da Berlusconi con la riforma Dini (Ministro del lavoro)del 2004, che modificando il sistema pensionistico ha aumentato l’età pensionabile e introdotto incentivi per prolungare la vita lavorativa. È fondamentale affermare che sia la riforma Dini che quella Fornero del 2012, sotto il governo Monti, hanno suscitato non poche preoccupazioni, soprattutto per quando riguarda l’equità e l’impatto sulle categorie più deboli della società.

Inoltre, vi è l’annosa questione della giustizia. Fra gli interventi più significativi dei numerosi governi Berlusconi si annovera la Riforma Castelli, dell’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli, approvata nel 2005 e rimodificata nel 2007 dalla Riforma Mastella, la cui finalità era quella di accelerare i tempi dei processi civili e penali, criticata sopratutto per la sua incerta compatibilità con i principi costituzionali (Infatti è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza 245/2007)

Infine, non per importanza, le riforme sul tema dell’istruzione, ovvero la legge 133/2008 dell’allora ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, che apporto importanti cambiamenti nel sistema scolastico,quali una maggior autonomia delle scuole per la selezione del personale,l’utilizzo delle risorse e l’organizzazione delle attività educative e una riduzione degli istituti tecnici.

L’arretramento, tuttavia, non è avvenuto solo sotto il profilo economico e quello istituzionale. Non è possibile dimenticare, infatti, che nel longevo governo Berlusconi II (il più lungo dei governi democratici della storia italiana) venne varata la legge 40/2004 che ha drasticamente ridotto l’accesso alle tecnica di procreazione medicalmente assitita fino ad una impossibilità di accesso de facto per tutti i cittadini. Una tale norma ha effett tragici sulla vita delle persone e sul desiderio di costruire una famiglia, abbiamo recentemente narrato, su questa redazione, una storia che si muove sullo sfondo della legge 40/2004; un racconto vissuto che vale più di mille statistiche.

Berlusconi ha fallito politicamente ma, in tutto ciò, è difficile fare una proporzione dei danni che ha causato (anche includendo i processi e le leggi ad personam). La sua carriera politica -durata 29 anni- ci ha lasciato e soprattutto adesso, che è passato a miglior vita, cosa ci tocca pagare? Noi giovani ci ritroviamo a fronteggiare un mercato del lavoro iper-competitivo e limitate opportunità di impiego insieme ad un’istruzione che soffre ancora di carenza di investimenti adeguati che intaccano negativamente la qualità dell’insegnamento. Pertanto, non possiamo che richiedere riforme che colmino le grandi lacune del funzionamento interno della scuola italiana. Inoltre, il tema istruzione tocca anche in modo sostanziale la partecipazione politica effettiva dei giovani, la nascita di Mediaset e la propaganda spettacolare svolta da Berlusconi ha allontanato ancora di più i cittadini dall’organizzazione politica, sociale ed economica del paese.   

“Ai posteri l’ardua sentenza”, diceva Manzoni; di fronte alla morte è essenziale il rispetto, anche se ciò non deve comportare ad una mancata valutazione ed alla damnatio memoriae dei danni prodotti dal berlusconismo.

[tutte le immagini di questo articolo sono generate tramite AI]
Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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